Un anno fa nasceva Level Up, un progetto innovativo dedicato ai giovani Neet (Not in Education, Employment or Training) del Comasco. A guidarlo è la cooperativa sociale Tikvà che con questo nuovo impegno ha deciso di affrontare per la prima volta in maniera diretta il tema del lavoro giovanile. A dodici mesi dal lancio, il bilancio è già denso di risultati, sfide e riflessioni sul futuro.
“Siamo partiti in rete con altri enti del territorio, come il Centro per l’Impiego e agenzie per il lavoro – ci racconta Clarissa Morena, coordinatrice del progetto – Già con la sola pubblicazione dei risultati del bando della Fondazione Cariplo, che finanzia il progetto, abbiamo ricevuto richieste da diversi enti e realtà locali che lavorano con giovani in difficoltà”. A sorprendere gli operatori è stata anche l’alta percentuale di dispersione scolastica nel territorio . “Il 30% è un dato che fa riflettere. Ci siamo chiesti perché non ci fossero più progetti candidati al bando sul tema Neet. Rispetto ai dati della Lombardia pubblicati nel 2022 ma ancora riferiti al 2020, i giovani che non studiano e non lavorano a Como e provincia sono 12’381, di cui 7’123 ragazze e 5’258 ragazzi. Indicativamente possiamo quindi considerare un numero di Neet tra 2’600 e 12 mila sul territorio che sono difficili da individuare con precisione in quanto non essendo né studenti, né in cerca di un lavoro o un’attività in proprio non entrano in dialogo con il sistema dell’occupazione e rimangono esclusi da ogni statistica perché non sono iscritti a nessuna lista“.
Le strategie per raggiungere chi si nasconde
Intercettare i Neet non è semplice, soprattutto quelli più lontani dal circuito dei servizi. “Abbiamo attivato canali diversi: chiamate, email dirette, contatti con scuole, associazioni e soggetti del terzo settore – ha spiegato Morena – Tra i partner principali figurano la Fondazione G.B. Scalabrini e la Fondazione G. Castellini, con cui Tikvà lavora fianco a fianco per segnalazioni e inserimenti mirati. A livello di comunicazione, il progetto ha scelto un approccio soft: cartoline distribuite nei luoghi più diversi, dal teatro alla biblioteca, fino ai McDonald’s e agli esercizi commerciali con anche una gestione social curata direttamente da ragazzi dell’indirizzo grafica e vendita della scuola Castellini. Sfortunatamente da questi canali sono arrivati pochissimi ragazzi. Il grosso del lavoro è stato fatto tramite le reti già attive sul territorio”.
Tre profili, mille storie
Il progetto ha raccolto oltre 100 segnalazioni, e finora ha inserito circa 50 giovani in percorsi strutturati. I profili sono molteplici, ma Morena ne ha individuati tre principali: giovani con buona motivazione, che cercano lavoro in modo poco efficace, “hanno voglia, ma non gli strumenti. Noi li aiutiamo a scrivere un curriculum, a capire come candidarsi, come presentarsi”. Giovani disillusi, che hanno lavorato in passato e hanno abbandonato per esperienze negative, “cattivi ambienti, aziende respingenti, scarsa autostima: sono ferite profonde. Ma con percorsi personalizzati possiamo riattivarli”. Infine i giovani lontani dal lavoro e con poca motivazione, spesso non hanno mai fatto un colloquio, “con loro il lavoro è tutto sull’aggancio e sul costruire una routine”.
Percorsi su misura: scuola, lavoro, tirocinio
Ogni giovane è seguito da un case manager, e il percorso si costruisce insieme, passo dopo passo. “Abbiamo reinserito tre ragazzi a scuola, accompagnandoli verso il diploma. Altri sono in tirocinio, alcuni sono in apprendistato. Le esperienze sono tutte diverse, e ogni traguardo è importante”. Tra le storie più significative, Morena racconta quella di una ragazza chiusa in camera per due anni, che a causa del Covid e dei vari lockdown non riusciva più ad uscire di casa. “Era in quarta superiore, non ha finito gli studi. L’abbiamo incontrata grazie alla sua psicoterapeuta. Abbiamo lavorato molto sull’ascolto, e ora fa la commessa. Sa che non è il lavoro della vita, ma per lei è un inizio. È tornata a uscire, a confrontarsi con gli altri. Queste storie ci danno molta soddisfazione”.
Le sfide e il futuro
“La vera sfida è agganciare chi è completamente fuori dai radar – ha aggiunto Morena – Non vanno in biblioteca, non fanno sport, non hanno una psicoterapeuta. Lì dobbiamo fare un lavoro capillare, di pazienza e presenza costante”. Al momento i ragazzi inseriti sono circa una cinquantina, ma altri quaranta sono stati comunque presi in carico anche se fuori target si tratta di diplomati, con esperienze lavorative troppo recenti. “Anche per loro troviamo percorsi alternativi, segnalazioni a servizi competenti, opportunità sul territorio. Nessuno viene lasciato indietro“. Le aziende del territorio, intanto, stanno iniziando a rispondere con interesse: “al momento lavoriamo molto con l’agenzia per il lavoro Risorse a Camerlata e il centro di formazione SkillsUp. Il passo successivo sarà consolidare legami diretti con le aziende, affinché accolgano i giovani e li aiutino nella transizione al lavoro”.
Cosa c’è in programma
Per il futuro, la cooperativa Tikvà punta a due obiettivi: riuscire a raggiungere un numero maggiore di ragazzi e consolidare il lavoro di rete con il territorio. “Non vogliamo sostituirci a nessuno, ma affiancarci alle realtà già presenti. Il nostro intento è creare percorsi personalizzati, calibrati sui bisogni di ciascuno”. Morena ha concluso con una riflessione che suona come una promessa: “Sappiamo che ci sono giovani che hanno perso fiducia, ma il territorio può e deve rispondere. A noi il compito di cercarli, ascoltarli e camminare con loro. Un passo alla volta”.