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Coprifuoco autoimposto alle 18. Il commerciante italiano di via Milano Alta: “C’è da aver paura”

Quando dici via Milano alta non è che ti venga proprio in mente una via dello shopping. Ma questo si sa da anni. Lontana dalla vasca del centro storico, separata dalla parte bassa da un incrocio che sembra un muro invalicabile, vittima di una cronica mancanza di parcheggi, è sempre stata un po’ un mondo a sé.

Se a questo aggiungiamo che è anche la via più multietnica della città, (quella in cui ci sono più macellerie islamiche che panettieri, per dire), la polemica è sempre stata pronta per essere servita all’occorrenza.

Perché alla fine via Milano alta, nonostante la lunga e tutto sommato ormai rodata convivenza, non è mai riuscita a diventare etnochic (o non ha mai voluto farlo?), in grado di attirare la “bella gente” in cerca di emozioni culinarie o del supermecatino indiano che come si compra il curry lì non lo trova da nessuna parte, signora mia.

In realtà, a prima vista, sembra semplicemente una via da cui i comaschi pian piano se ne vanno sotto la spinta (forse anche gentile) di nuove etnie. Una via in cui andare giusto per farsi riparare a poco prezzo il vetro dell’ IPhone rotto e poco più.

Insomma, non è la polveriera da coprifuoco di via Anzani, ma non è neanche l’East Village, diciamo. E’ via Milano alta. Che, in numeri, conta poco più di 50 negozi di cui la metà chiusa e l’altra metà prevalentemente straniera, soprattutto nella parte verso piazza San Rocco.

Eh sì, perché anche via Milano, e lo sa bene chi ci lavora, è a sua volta divisa in Via Milano altaalta e in via Milano altabassa, quella che Martino Brumana, storico proprietario (insieme ai fratelli) della merceria che porta il suo nome, definisce “il blocco fino all’incrocio con via Anzani. Poi da lì in su sono tutti extracomunitari”.

Il suo, insieme a pochi altri, è uno dei negozi che ha fatto la storia della via e che sopravvive circondato da macellerie islamiche, kebab, Money transfer e cartelli di affitasi. Stop: negozi che sopravvivono o vivono (o, meglio ancora, convivono)?

Il cartello vendesi appeso al balcone del primo piano del palazzo di proprietà dei Brumana sembrerebbe raccontare una resa. Ma resa davanti a cosa? All’avanzata multietnica? Alle multinazionali dei bottoni? O ai giovani d’oggi che non sanno attaccarsi un bottone e figurarsi se hanno i soldi per farsi fare un vestito su misura, con quello che costa, quindi addio sartorie?

“Mio papà era un ambulante della Val di Magna e con mio zio nel 1930 ha deciso di aprire questo negozio. Abbiamo vissuto tutte le trasformazioni della via, da quando qui passava il tram” – racconta tra scatole di bottoni e passamanerie in un negozio in cui il tempo sembra essersi fermato – Negli ultimi anni però i negozi del centro si sono sviluppati moltissimo e via Milano è diventata la periferia, anche se qualche negozio regge ancora bene. Ma solo in questa parte più bassa.”

Per questo chiudete?
E’ da un po’ di tempo che le sartorie sono in crisi e ci siamo adattati a vendere anche intimo e maglieria. Però non chiudiamo per questa ragione. I nostri figli hanno scelto altre strade e tra un paio d’anni al massimo andremo in pensione

Quindi il fatto che la via abbia più negozi stranieri che italiani non c’entra
Il nostro riferimento è il primo blocco e non voglio essere io a sputare sugli altri. Tutti hanno il diritto di mangiare però commercialmente la via è abbastanza buona solo fino a via Anzani. Ma anche qui ha perso la sua identità. Ad esempio, in passato facevamo la festa di via Milano ma poi, quando i negozi comaschi se ne sono andati, questa tradizione si è persa. E’ cambiato tutto.

Accanto a Brumana, un paio di civici più in su, c’è un altro negozio storico della via, il negozio di scampoli della famiglia Tettamanti, aperto da più di 80 anni. Il titolare è mancato recentemente e, a mandare avanti l’attività, c’è il nipote Armando aiutato dai genitori. Che ha un’idea un po’ diversa. “Qui si è sempre lavorato bene, anche se i negozi stranieri hanno preso il posto di quelli italiani. Ci conosciamo tutti e ci diamo una mano. Tra alti e bassi andava tutto bene fino a un paio di anni fa”.

Cosa è cambiato?
C’è stata l’emergenza migranti e hanno aperto il centro d’accoglienza (chiuso da pochi giorni, Ndr).

I clienti se ne sono andati per colpa del centro di accoglienza?
Prima avevo il negozio sempre pieno. Anche la chiusura del parcheggio in Ticosa non aveva inciso. Dopo abbiamo avuto un bel calo nelle vendite. Di certo non ha aiutato a migliorare la via.

Che problemi causava il centro?
Gli ospiti passavano la giornata gironzolando per la via a gruppi e capitava spesso che litigassero per la strada. In 3 anni che sono qui ho visto gente che si picchiava in pieno giorno, urla e schiamazzi. Al negozio qui di fianco una notte hanno spaccato la vetrina e al mattino troviamo bottiglie e anche sputi sui vetri.

Però di notte non possono essere stati gli ospiti del centro di accoglienza
Può essere che siano irregolari che non sanno dove passare la notte. Come quelli che stanno davanti a certi supermercati della città a bere. Solo che, se succede a un supermercato, per lui cambia poco. Se succede davanti a un negozietto è una mazzata. Prima queste cose non succedevano. Adesso dopo una certa ora questa via non è sicura. Così mi sono imposto un coprifuoco.

In che senso?
Nessuno me lo impone, come in via Anzani, ma io chiudo alle 18. Mi spiace per qualche cliente che arriverebbe anche più tardi ma certe sere qui c’è da aver paura a stare in giro. Abbiamo anche pensato di trasferirci in via Milano bassa, anche se questo negozio è nostro e altrove avremmo da pagare l’affitto.

Ora però il centro d’accoglienza è stato chiuso.
Speriamo che le cose cambino allora.

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Un commento

  1. San Rocco è il quartiere più affascinante e misterioso della città, non si può aver paura; di fronte a San Lazzaro c’era un incredibile ossario, di cui restano solo 7 teschi nella chiesa sotto il quadro della Beata Vergine del suffragio con i dannati che bruciano vivi. Alfa e Omega.

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