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Coronavirus – Tiziana e Davide, comaschi a Londra. “La calma. Poi all’improvviso sono tutti spariti”

Tutta Italia, in questo momento, sta facendo i conti con le misure richieste dal Governo per contenere i contagi da Coronavirus.

Ma c’è chi, seppur italiano, sta vivendo l’emergenza in un contesto dove tutto sta cambiando velocemente: il Regno Unito.

Tiziana e Davide, rispettivamente mamma a tempo pieno e ingegnere, sono comaschi ma vivono a Londra da svariati anni. Ci hanno raccontato quanto sta succedendo nella capitale inglese, testimoniando una situazione pre-emergenza che sta evolvendo rapidamente in queste ultime ore.

“Io e la mia famiglia viviamo a Londra da due anni – racconta Tiziana Enni, originaria di Domaso – mia figlia frequenta la Primary School e in questo momento si trova a casa perché ha un po’ di tosse. Adesso le scuole iniziano a chiudere, così come le metropolitane. Ma fino a un paio di giorni fa, la gente qui non aveva ancora la percezione reale della situazione: erano tutti tranquilli, non mantenevano le distanze e andavano in giro come se niente fosse”.

Tiziana invece, reduce da una trasferta in Italia, aveva già un’idea ben precisa della pericolosità del Coronavirus. “A fine febbraio siamo tornati da una vacanza in Italia, ci eravamo recati a sciare in Trentino – continua – abbiamo subito comunicato il nostro rientro alle autorità londinesi e alla scuola, ma alcune mamme erano un po’ preoccupate per la nostra trasferta”.

“Mi sono sentita in dovere di inviare un messaggio nelle varie chat Whatsapp per chiarire la situazione – racconta – spiegando che non eravamo passati da quella che allora era considerata Zona Rossa, dunque potevano stare tranquille. Forse ad alcuni potrà sembrare un gesto estremo ma per me è stato necessario”.

Nonostante l’iniziale indifferenza della popolazione inglese nei confronti del virus, infatti, nella capitale del Regno Unito la situazione sta cambiando velocemente.

“Fino a una settimana fa non c’era allarmismo – prosegue Tiziana – adesso, invece, la gente inizia ad avere paura soprattutto degli italiani. Inoltre, nei supermercati mancano alcuni prodotti, in particolare disinfettanti”.

“Fuori dalla scuola di mia figlia era stato addirittura appeso un cartello che chiede di avvisare le autorità se si proviene dall’Italia e di tenere a casa i figli se hanno la tosse – conclude – in questo momento noto emergere la paura e il pregiudizio nei confronti degli italiani residenti a Londra”.

Altro caso è quello di Davide Mantegazza, imprenditore residente a Londra da 8 anni, che ci racconta da un’altra prospettiva la quotidianità nella capitale britannica.

“Fino a un paio di giorni fa, se un londinese non avesse letto i giornali, non avrebbe percepito l’emergenza legata al Coronavirus – racconta Davide –Il Governo, al momento, non ha ancora imposto divieti ma punta sull’autoregolamentazione dei cittadini. Vivo su una High Street e quindi vedo quotidianamente la vita in diretta della zona: negli ultimi giorni bar e ristoranti erano meno pieni, ma è da giovedì sera che le persone hanno iniziato a stare in casa. La gente è sparita all’improvviso”.

“Ho notato per la prima volta che la situazione sta cambiando – afferma – i ristoranti hanno chiuso alle 22, cosa abbastanza rara per Londra. Credo che siamo davvero vicini a un grosso cambiamento”.

Per la sua attività lavorativa, Davide non ha ancora preso particolari misure al fine di tutelarsi dal contagio. Tuttavia ci racconta quanto sta succedendo a chi, invece, ha un “classico” lavoro da ufficio. “Molti amici, in particolare italiani, stanno utilizzando il telelavoro – spiega – ma qui è una pratica già sdoganata da tempo”.

“Per quanto riguarda la percezione del rischio, sinora ho notato una grande differenza tra italiani e inglesi – continua – i primi sono più preoccupati a causa della pressione dei parenti, perché non vogliono diventare un veicolo del virus. Invece i britannici hanno una struttura familiare differente, non considerano la possibilità di contagiare i nonni o i genitori anziani”.

“Ad ogni modo – conclude – qui si ha l’impressione di essere pronti a gestire la situazione di emergenza, anche logisticamente. Nonostante ciò, i miei amici italiani mi chiedono se tornerò in patria perché non confidano nella sanità inglese, preferiscono la nostra”.

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