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Enrico e Andrea al confine con l’Ucraina per i profughi: “C’è chi non riesce a lasciare casa anche se è guerra, solo 3 su 15 hanno deciso di partire”

Ci sono gesti belli che lasciano il segno, che vanno oltre quello che riescono a fare nel momento in cui sono compiuti ma tracciano una piccola strada preziosa che altri, poi, sceglieranno di percorrere.

Ed è stato così per il viaggio fatto un paio di settimane fa dall’attore comasco Stefano Stiv Annoni, partito alla volta del confine tra Polonia e Ucraina per portare in Italia una mamma e la sua bambina, e che ha “ispirato” un suo collega, Enrico Pittaluga che, in una pausa tra uno spettacolo e l’altro, ha deciso di compiere lo stesso viaggio.

“Mi fa piacere che il mondo della cultura e del teatro si sia attivato. Si è sollevato un grande movimento contro la guerra e per aiutare chi scappa dall’Ucraina ed è inutile negare che si sente la differenza, come se esistessero profughi di serie a e di serie b- spiega Pittaluga in uno dei video che ha condiviso con la nostra redazione per raccontare il suo viaggio – spero che questa sia però l’occasione per capire che non esistono differenze tra chi scappa, perché sono tutte persone che fino all’altro ieri magari erano a teatro, al cinema, al lavoro esattamente come noi e all’improvviso hanno dovuto scegliere se lasciare a casa gli uomini o chi non può muoversi, oppure restare con loro rischiando la vita”.

Partito da Milano in compagnia di Andrea, un avvocato milanese conosciuto pochi giorni prima, e ad altri due equipaggi, Pittaluga ha raggiunto Przemyśl, sul confine tra Polonia e Ucraina, dove una gigantesca macchina dell’accoglienza si è messa in moto già da giorni per aiutare chi riesce a varcare il confine e a fuggire dalla guerra. E la scena che è apparsa agli occhi di Enrico e dei suoi compagni di viaggio è qualcosa che lascia il segno, al limite tra il surreale e il tragico, e che fa davvero capire che quello che è successo in Ucraina poteva succedere anche a noi.

“Qui un grandissimo centro commerciale è stato completamente adibito a centro d’accoglienza e smistamento – racconta – sembrava di essere in una stazione sciistica, con famiglie vestite con abiti pesanti, adulti stanchi che trascinavano trolley e qualche busta del supermercato e bambini che giocavano con in mano il loro peluche preferito o portando il cane al guinzaglio, c’era addirittura un ragazzo con un amplificatore, forse era un musicista che aveva dovuto risparmiare così tanto per comprarselo che non aveva voluto separarsene”.

Una normalità apparente, quasi festosa, che in realtà cela il dramma di famiglie costrette a fuggire portando solo lo stretto necessario per affrontare il viaggio “magari nella convinzione di poter tornare a casa presto o di poter comprare poi quello che servirà – prosegue Enrico – ma chi lo sa cosa troveranno al loro ritorno, e se i loro soldi avranno ancora valore”.

Uno strappo doloroso, quello con la propria vita e le proprie radici, che non tutti se la sentono di fare tanto che, delle 15 persone attese da Pittaluga e dai suoi accompagnatori, solo 3 si sono presentate mentre le altre hanno preferito rimanere nelle proprie case, nonostante la guerra: “Io e Andrea abbiamo raggiunto alla stazione di Budapest una donna che, con le sue due figlie di 8 e 12 anni e la loro cagnolina, doveva andare a Milano – racconta – appena hanno toccato i sedili dell’auto, si sono addormentate profondamente affidandosi completamente a degli sconosciuti, come eravamo noi in quel momento”.

Tornato finalmente a casa, Pittaluga ha affidato a un video alcune riflessioni e consigli preziosi per chi volesse intraprendere lo stesso viaggio: “Al momento non servono cibo o vestiti ma mezzi di trasporto quindi andate se avete a disposizione mezzi capienti, capaci di ospitare più passeggeri che equipaggio in modo da far sentire a proprio agio chi, altrimenti, si troverebbe a viaggiare quasi da solo con degli sconosciuti – è il suo suggerimento – calcolate circa 3 o 4 giorni di viaggio e 500 euro di budget ma, se per mille ragioni non potete andare in prima persona, ricordatevi che potete sempre offrire un aiuto economico a chi parte”.

È stato importante andare lì di persona a dare una mano perché, quando tutto diventa concreto, diventa anche reale – conclude – e per costruire futuro di pace bisogna cominciare a fare gesti di pace”.

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