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Era un gran casino. Nel libro di Cristina Fontana le storiche case chiuse di Como

Como e prostituzione hanno un rapporto antico. Lo sa bene Cristina Fontana, autrice del libro “Como a luci rosse”, un’indagine storica su come il “mestiere più vecchio del mondo” sia cambiato, evolvendosi, nei secoli, in riva al lago, fra le vie della città, nella consueta oscillazione fra vizi privati e pubbliche virtù..

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Cristina, il tuo libro studia la prostituzione a Como sin dall’antichità.
Esatto, Le rovine di un bordello romano sono state trovate sotto il sito del Pirellino. Nel medioevo, invece, le prostitute “erratiche” senza dimora si riunivano sotto le mura della città (sul lato di viale Lecco) o in vicinanza delle chiese. Un editto del 1465 tentò di regolarizzare la prostituzione. Torre Pantera divenne un postribolo gestito dalla famiglia Rusconi, a un passo dal Duomo, perché il vescovo potesse tenere la situazione sotto controllo.

Qual è il periodo più rilevante per la Como a luci rosse?
Sicuramente l’800, quando le case di tolleranza erano diffusissime. C’era il Dollaro in via Volpi, dove una prestazione valeva il corrispettivo di un dollaro americano. C’erano due bordelli in via Cinque Giornate: quello della Laura e quello della Lucia. Prendevano i nomi delle proprietarie ed erano frequentate da ragazzi e soldati. Costavano poco ma le prestazioni erano scadenti.

Il Dollaro di via Volpi

C’erano altri casi non regolari?
Le case di tolleranza erano regolamentate dal Decreto Cavour. Le ragazze venivano sottoposte a visite mediche regolari. Erano aperte dal pomeriggio fino a sera e c’erano delle tariffe consigliate. Nella zona di piazza Cavour c’erano donne che però esercitavano fuori dai bordelli e nelle zone paludose vicino al lago durante tutto il giorno. Stare in una casa di tolleranza aveva dei benefici ma limitava gli orari di lavoro.

Chi erano le donne che lavoravano nelle case chiuse di Como?
La prostituzione andava di pari passo con la povertà. Abbiamo molti dati sulle professioni delle prostitute comasche. Erano anche contadine, domestiche, operaie, costrette ad arrotondare. In altri casi, le ragazze erano costrette dai genitori indigenti a prostituirsi.

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Il fatto di essere una città di frontiera ha avuto un effetto sulla prostituzione?
Certo, da regolamento le donne non potevano stare per più di un certo periodo di tempo nella stessa casa in modo da evitare relazioni con i clienti. Molte svizzere venivano quindi a lavorare a Como e molte comasche andavano a lavorare a Lugano.

Nel 1958, con la Legge Merlin è poi cambiato tutto.
Hanno provato a reprimere il fenomeno ma invece di estinguersi si è solo spostato dalle case chiuse alla strada o alle case private. Regolamentare non è un’idea buona in tutto e per tutto ma almeno ci sarebbe più sicurezza da un punto di vista igienico-sanitario.

L’articolo che avete appena letto è stato pubblicato su ComoZero settimanale, in distribuzione ogni venerdì e sabato in tutta la città: qui la mappa dei totem.

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