Il sindaco di Erba, Veronica Airoldi, spezza il silenzio ufficiale in provincia di Como (perché in via informale il tema è rovente da giorni) sulla situazione Covid-19 nelle Rsa e nelle strutture religiose.
Lo fa con una lunga, dettagliata e per certi versi drammatica lettera inviata al presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana, all’assessore alla Sanità, Giulio Gallera, per conoscenza ai comaschi Alessandro Fermi e Fabrizio Turba, e ai vertici di Asst Lariana e Ats Insubria in cui non nasconde la “crescente preoccupazione […] nella speranza che questo appello venga accolto.
Pubblichiamo il documento integralmente
Come Sindaco del Comune di Erba sto assistendo, impotente, all’estensione della diffusione del nuovo coronavirus sia nella R.S.A. che in alcune delle strutture religiose di comunità presenti sul territorio cittadino, e la particolare fragilità degli ospiti non può far sfuggire la portata del rischio che vi si corre.
In alcuni casi, la scelta operata dai medici responsabili è stata quella di sottoporre a tampone gli ospiti, ma non il personale che vi lavora, stante l’indicazione dei protocolli in essere. Mi permetto di segnalare il pericolo insito in questa strategia.
È più che evidente che in simili strutture il virus non possa che essere stato introdotto dall’esterno, tuttavia, il personale oggi a casa in malattia non viene sottoposto a tampone, né i rispettivi familiari assoggettati a forme di quarantena.
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La deliberazione della Giunta Regionale Lombardia nr. XI/3018 del 30/03/2020 prevede a tal proposito misure specifiche la cui applicazione non si ha contezza di quanto sia conosciuta.
Mi appello a Voi affinché vengano forniti tutti i mezzi necessari per la gestione operativa degli ospiti e del personale delle RSA, al fine di contenere le possibili infezioni legate all’attività di assistenza nell’ambito dell’emergenza da COVID-19. Ritengo essenziale che venga condotto un monitoraggio degli operatori, consentendo agli stessi di effettuare periodicamente un tampone, in quanto gli stessi sono potenzialmente in contatto con persone positive o in quarantena all’esterno e quindi involontari propagatori del virus all’interno delle strutture e viceversa.
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Una situazione analoga è quella vissuta dai medici di medicina generale e dal personale medico ed infermieristico ospedaliero, soggetti estremamente esposti al rischio di contagio, e quindi possibili fonti di diffusione del virus.
L’esigenza che mi sento di segnalare per loro, per la loro salute, per quella dei loro cari e sicuramente dei pazienti sani che visitano tutti i giorni: è quella di sottoporli a tamponi periodici (almeno in attesa di ulteriori e più precisi esami) che tutelino in primis la loro incolumità e quella delle strutture di comunità che alle loro preziose cure si affidano.
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Ciò che devo purtroppo registrare è che, mentre le misure di isolamento messe in atto per i cittadini rispondono, correttamente, alla massima rigidità, i protocolli destinati al personale sanitario degli ospedali, delle RSA, delle strutture di comunità e per i medici di medicina generale non garantiscono altrettanta sicurezza.
In nome della comunità cittadina che rappresento mi rivolgo a Voi certa che questo mio appello possa essere accolto con celerità e responsabilità e si possa insieme giungere alla sconfitta del subdolo nemico che ha stravolto le nostre vite.