Nel mezzo della città murata, in una bottega modesta, sopravvive un mestiere antico le cui radici affondano in un’era lontana. L’epoca dell’uomo che lavorava il metallo a mano, donando bellezza alla materia grezza a colpi di scalpello.
Uno degli ultimi custodi comaschi di quest’arte è Virginio Consonni, 78 anni: cesellatore da una vita.
Chino su un anello da riparare, con gli occhiali sulla punta del naso, tra un colpo di martello e un guizzo di fiamma ossidrica, Gino (per gli amici), racconta la sua storia: “Ho cominciato quando avevo undici anni, dai Martinitt (un collegio storico di Como, conosciuto oggi come ex Baden Powell, Ndr) era in Via Tommaso Grossi”.
“Ero così piccolo che il banco degli attrezzi mi arrivava al naso“, svela, indicando il bancale affollato di attrezzi di ogni misura, coperti a tratti da una patina di polvere di metallo.
“Ero un bambino gracilino, gli insegnanti pensavano sarebbe stato un mestiere semplice per me. Ma si sbagliavano. Il martello era enorme, il metallo pesante”.
È difficile guardare le grosse e ruvide mani di Virginio affaccendarsi precise attorno a un oggettino brillante e immaginare il bambino che fu.
Ma è chiaro che così tanta sicurezza nel modellare il metallo viene da un inizio precoce e una pratica intensa: “La scuola è stata solo l’inizio”.
“Dopo aver imparato le basi del mestiere ho fatto l’apprendista nella bottega di un cesellatore di Como, Armando Grigioni. Per cinque anni mi ha insegnato molto, tutto. Ma alla fine me ne sono andato per continuare sulla mia strada,” racconta Virginio, mentre immerge l’anello in un bagno acre di acido e acqua per restituire brillantezza al metallo.
La reazione chimica offre una pausa a Virginio che apre un armadietto di metallo e estrae dei ritagli di giornale ingialliti e un album di oggetti sacri. “Quando mi sono messo in proprio ho cominciato a cesellare candelabri, calici e ostensori,” dice, indicando le figure in bianco e nero sulle pagine dell’album.
“Riuscivo a fare anche tre calici da chiesa alla settimana tanta era la richiesta. Tutta creatività mia, niente modelli. Stavo talmente tanto tempo in posizioni scomode per finirli che spesso mi ritrovavo con il naso sanguinante”.
Le opere di Virginio sono disseminate per le tante chiese del territorio, risalenti a quando “le parrocchie erano ancora ricche”, ammette l’artigiano, sorridendo.
Non occorre spingersi troppo lontano però per ammirare il pezzo di cui il cesellatore va più fiero. “Nel 1960, mi hanno dato tre foto di Papa Giovanni XXIII e sono riuscito a tirare fuori questo medaglione,” racconta indicando un ritaglio di giornale con una foto di un cameo del Papa Buono custodito nella Chiesa del Crocifisso di Como.
Nella didascalia si legge il nome dell’autore: Virginio Consonni. “Il medaglione è ancora lì. Ma hanno scelto le luci sbagliate e oggi non si vede più tanto,” aggiunge, ridendo.
Con il passare degli anni il lavoro è cambiato. Il negozio di Virginio, via Bonanomi, comprato con gran fatica nel 1985, ha visto tutte le fasi dei cambiamenti.
Dopo che le commesse per gli articoli sacri si sono prosciugate è venuto il momento delle medaglie e dei trofei sportivi. Oggi, la maggior parte delle richieste sono per piccole riparazioni di oggetti antichi o incisioni su gioielli. “Ma si tratta di cose con cui non si tira avanti. Adesso cerco di arrivare alla pensione: giusto un paio d’anni e poi basta”, racconta.
Nella voce, mentre toglie l’anello dall’acido, Virginio ha la stanchezza di chi ha lavorato una vita. E la tristezza di chi non ha eredi pronti a succederlo sul banco di lavoro.
GALLERY – SFOGLIA
In un futuro prossimo, la bottega potrebbe diventare la cucina di un locale vicino. È una storia che si sente spesso e di cui abbiamo già scritto. “Prenderò giusto il mio pantografo e qualche altro attrezzo. Lascerò il resto. Ci sono troppe cose accumulate negli anni perché io possa portarle via tutte con me.”