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I giovani e Como, Maria Colonna (FuoriFuoco): “Dateci spazi non solo piazze per bere e negozi”

“Cosa può fare un giovane a Como?”, ma anche, “che tipo di socialità e di iniziative culturali vengono proposte in città?”: queste sono solo alcune delle domande che in qualche misura “sfidano” la città, quelle contenute nella lettera aperta di “FuoriFuoco”, il laboratorio di giornalismo partecipato di Como, animato da giovani Under 30, che ha appena organizzato “FuoriFEST”, festival di giornalismo.

Interrogativi riemersi spontaneamente – e che si ripetono inascoltati da tempo – dopo quanto accaduto sabato scorso, quando, durante una festa organizzata al Terzo Spazio di via Garovaglio, sempre collegata al festival, poco dopo le 22, è arrivata la Polizia locale chiamata per disturbi alla quiete pubblica. Festa in regola che però è subito stata catalogata come un qualcosa di fastidioso dai residenti e che ha fatto riemergere con prepotenza un sentimento di sconforto ormai ben radicato: quello di vivere in una città poco aperta alle necessità dei più giovani.

A parlarci di questa vicenda, ma soprattutto della situazione che si trovano a vivere i ragazzi in riva al lago è Maria Colonna, membro della redazione di FuoriFuoco, collettivo di informazione giornalistica nato nel 2019 grazie a un bando di Fondazione Comasca.

La chiacchierata nasce da un concetto chiaro che però viene ribadito con forza: “Teniamo alla nostra città, ma”. E in effetti i “ma” sono più di uno.

“Abbiamo anche scritto una lettera aperta sulla questione, che però non vuole creare polemiche ma aprire un dibattito – spiega – perché il tema è molto sentito dai giovani. Noi stessi, in precedenti lavori sul territorio, abbiamo dialogato con molti ragazzi che da sempre evidenziano questo problema. Como è un luogo bellissimo, al quale tutti noi della redazione siamo legati, ma che sembra essere impermeabile alle legittime necessità dei più giovani”, dice Maria.

Lei stessa ricorda come “in passato esistessero dei luoghi di aggregazione mentre oggi c’è praticamente il vuoto. Penso a luoghi che non siano solo la semplice piazza dove poi chi si ritrova ha poco da fare se non magari bere qualcosa in compagnia. Penso alla mancanza di un centro civico o a luoghi rappresentativi come è stato per lungo il tempo il Chiostrino di Sant’Eufemia negli anni scorsi. Insomma, spazi facilmente accessibili, liberi, che non spingano magari solo a dover fare la spola tra i tanti negozi che appaiono a volte come le uniche luci accese in città”.

Maria sottolinea come tutti i ragazzi di FuoriFuoco siano di Como o della provincia e di quanto sia “forte l’amore per la nostra città e per il nostro territorio, tanto che la nostra lettera aperta ha già raccolto più di 300 adesioni di persone che in generale vedono la situazione come l’abbiamo descritta”.

Viene da chiedersi se non ci siano però anche state delle voci discordanti. “Sì, certo, abbiamo anche ricevuto critiche. Qualcuno ha sottolineato il fatto che Como non possa essere paragonata o trasformata in una città pulsante come Milano perché ha delle caratteristiche proprie. Lo sappiamo bene, Como è la bellezza del lago, la cultura e tanto altro e noi non puntiamo a trasformarla in un centro della movida. Puntiamo ad aprire un confronto costruttivo”. Senza puntare alla facile polemica? “Esatto. Abbiamo fatto riferimento nella nostra lettera aperta alla recente ordinanza del sindaco che vieta il consumo di alcolici sul suolo pubblico, non per attaccare il Comune, ma per evidenziare che un insieme di fatti, come anche decisioni di tal natura, purtroppo non fanno altro che restringere i già pochi spazi di socialità a pochi luoghi prestabiliti”.

Anche perché i giovani, pur se molto legati alla propria città, alla fine tendono a “spostarsi e andare via. Ovviamente le motivazioni alla base dell’emigrazione dei giovani sono anche altre, legate agli studi intrapresi o alla carriera alla quale si ambisce, ma in effetti anche vivere in un luogo privo di stimoli può spingere a prendere certe decisioni”, conclude Maria Colonna.

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4 Commenti

  1. tra tutte le tante cose di cui Como ha bisogno lo spostamento della Biblioteca comunale nell’ex Politeama è probabilmente quella più insensata. L’ex Politeama potrebbe invece avere un senso se recuperato anche in funzione di un suo uso “aperto” alla città, anni fa si era letto di un possibile utilizzo da parte del Conservatorio, avere un edificio spazioso con una sala polivalente (x musica, spettacoli, confernze) oltre a sale prove o per incontri/riunioni, fruibile alnche da diversi gruppi e associazioni, sarebbe certamente un’opportunità importante per la città.

  2. Sono pienamente d’accordo. Recentemente la Giunta ha approvato l’acquisto dell’ex Politeama senza avere un progetto preciso…. ecco trasferiamo lì la biblioteca, che attualmente si trova in un luogo infelice e senza parcheggi nelle vicinanze, ed è obsoleta…. con un bar caffetteria e un paio di sale multiuso per conferenze ecc. e trasformiamo piazza Cacciatori delle Alpi in un piccolo parco … non solo lo sport serve ai giovani e non interessa a tutti. Prima di ritrovarci con una nuova Ticosa.

    1. La biblioteca comunale in un edificio di grande pregio nel cuore del centro storico può essere definita “infelice” solo da persone che hanno sviluppato una forte dipendenza dalle auto.
      Prima di pensare a trasferimenti proporrei di agire sulle modalità di gestione e sull’aggiornamento della struttura: estensione orari, qualità delle connessioni, pulizia e comfort degli spazi di studio, formazione del personale.
      Concordo purtroppo sull’assenza di un progetto organico per il Politeama… sommessamente invito però a interrompere la decennale tradizione del “traslocare i problemi e esternalizzare le soluzioni” (Ticosa, Ospedale, Caserme, San Martino, ecc..).
      La biblioteca è una cosa, il Politeama un’altra.
      Buona giornata

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