Con il nuovo Dpcm e la conseguente suddivisione dell’Italia in Zone Rosse, Arancioni e Gialle, il Covid è tornato a far preoccupare la maggior parte degli italiani.
Gli ospedali si sono preparati ad affrontare la nuova ondata, ma soprattutto tornano a farsi sentire le voci di coloro che hanno combattuto in prima linea durante la prima fase dell’emergenza sanitaria. Tra loro c’è Giuseppe Vallo, direttore del reparto di Riabilitazione respiratoria del Cof di Lanzo d’Intelvi (l’intervista è stata realizzata per ComoZero settimanale il 31 ottobre, prima degli ultimi provvedimenti decisi dal Governo italiano).
Come vede la situazione, in questo momento, a livello sanitario?
Man mano che i numeri crescono entriamo in crisi. Purtroppo i pronto soccorso vengono presi d’assalto anche per crisi d’ansia o per un accenno di tosse che fa scattare l’allarme. E’ un effetto normale dovuto alla pandemia ma sarebbe meglio evitare, gli asintomatici devono rimanere a casa. Il problema maggiore per noi è rappresentato dai ricoveri, mano mano che si riempiono gli ospedali per situazioni acute i pazienti rimangono dentro e non si riesce a prenderne di nuovi. Quando i numeri diventano così grandi, tutte le strutture si intasano e quindi hanno bisogno di “sfogare” i pazienti più stabili su altre strutture per prendere quelli meno stabili. Si crea un effetto domino.
Al Cof di Lanzo, quali pazienti Covid accogliete?
Non avendo una terapia intensiva non possiamo prendere i pazienti più gravi che devono essere intubati, quindi abbiamo aperto dal 19 marzo al 9 giugno un reparto per chi aveva problemi respiratori ma è semi-stabile e abbiamo avviato un percorso di riabilitazione secondaria alla malattia. Da giugno a oggi ci siamo rivolti a tutte le altre patologie, che rimangono nonostante il Covid, e abbiamo trattato i pazienti con Coronavirus che nonostante fossero guariti avevano ancora problemi respiratori. Ci sono persone che a distanza di 6 mesi hanno ancora affanno, quindi sono tuttora ricoverate perché non sono riuscite a tornare alla vita di prima.
In questo momento, cosa possiamo fare per tutelarci, oltre al rispetto di tutte le misure?
L’80% dei contagi avviene in famiglia, quindi dovremmo frequentare il nostro nucleo familiare e basta perché questo virus colpisce la cosa più intima che abbiamo ovvero il rapporto coi nostri affetti. A cena non abbiamo protezioni, se entriamo in contatto con un altro nucleo familiare dove c’è un positivo si infettano i parenti e si crea un’infezione a catena. E’ importante che più nuclei familiari non si incontrino senza protezioni. Non siamo dei robot, quindi è ovvio che tendiamo a essere meno prudenti in alcuni momenti. Si deve essere responsabili. Noi medici siamo provati a livello psicologico, dal tempo e da tutto ciò che stiamo investendo ma daremo sempre una mano. Fin quando staremo in piedi, perché anche noi ci ammaliamo.
Come è cambiata la sua vita, a livello lavorativo e personale?
Nei mesi in cui lavoravo con i pazienti Covid sono stato lontano da casa, parliamo di tre mesi e mezzo. Stavolta non ce la faccio a reggerlo psicologicamente, ora sono un’altra persona. Tutto è più difficile, certo abbiamo l’esperienza ma psicologicamente quando indosso la tuta rivivo tutto ciò che è successo durante i mesi di Covid. Quando mi sono fermato, a giugno, non riuscivo più a dormire. Ogni volta che entro in reparto rivedo quelle immagini che ho cercato di cancellare: mi ha cambiato la vita per sempre. È stata una botta, riviverlo non è sicuramente piacevole. Chi si mette in gioco ora lo fa per missione, non esistono soldi che possano ripagare tutto ciò di cui veniamo privati. Quando indossiamo il camice siamo coscienti che rappresenta una grande responsabilità, la nostra ora è una missione oltre che una professione.
Ora, come vi state organizzando al Cof di Lanzo?
Regione Lombardia ha sospeso gli interventi non urgenti programmati, quindi il nostro reparto di ortopedia ora è chiuso. Rimane la riabilitazione motoria per i pazienti già operati. Da lunedì (2 novembre, Ndr) viene riaperto il reparto Covid con 25 posti letto al 2° piano, a marzo siamo arrivati a 40-45 posti letto e speriamo di riuscire a garantirne altrettanti se ci fosse bisogno. Stiamo riattrezzando tutto, rifacendo il piano di lavoro: abbiamo 3 mesi di esperienza e questo gioca a nostro favore a livello organizzativo.
Qual è la preoccupazione maggiore, per voi?
Purtroppo ora non vediamo la fine di questa emergenza, vivremo alla giornata e vedremo cosa succederà dando il nostro contributo al massimo. La mia preoccupazione maggiore è che non ho il senso del tempo. Quanto ci vorrà? Quanto rimarremo in piedi? Quanto riusciremo a fare?
Cosa ne pensa degli esperti che, spesso, esprimono le proprie opinioni in tv (e, altrettanto spesso, non sono pareri concordi)?
Essendo medici, dobbiamo essere prudenti perché la nostra voce in questa situazione viene ascoltata di più. Non siamo abituati a parlare alla popolazione ma a fare letteratura scientifica, non siamo animali da palcoscenico. La comunicazione ha regole che non conosciamo e con cui possiamo scottarci, tradurre il nostro linguaggio agli altri non è semplice e per questo spesso porta a incomprensioni. Le persone ora sono arrabbiate, e lo capisco, poi ci sono i negazionisti ma per fortuna sono una piccolissima fetta di popolazione. Vorrei dire loro che chi è in prima linea non ci guadagna niente, non siamo qui per i soldi.