La mamma o il nonno portato via dall’ambulanza o lasciati al Pronto Soccorso senza la possibilità di rimanere accanto a loro. Il cellulare che dopo un po’ smette di funzionare. Familiari, parenti e amici sono sopraffatti da umanissimi dubbi: Ci saranno i medici a visitare? Sarà successo qualcosa?
Il personale sanitario, travolto dall’emergenza Covid, comprensibilmente non sempre puòo fornire tempestivamente informazioni o anche solo una parola di conforto a chi è rimasto a casa e non sa cosa sta succedendo.
Al di là dell’aspetto strettamente legato alla salute, il Coronavirus ha portato con sé anche il dramma umano di non sapere più nulla, magari per ore, dei propri parenti malati.
A fare immediatamente da ponte tra le famiglie e i reparti blindati del Sant’Anna, prima che a fine marzo l’ospedale riuscisse ad organizzare una linea telefonica dedicata, si sono offerti i tre cappellani in servizio presso l’ospedale cittadino: padre Alessandro Viganò, padre Fabio Giudici e padre Chrispino Wasike.
Una piccola, ma importantissima, goccia di attenzione verso il prossimo riportata anche dal giornalista comasco di Libero Fabrizio Biasin in un post sul suo profilo Facebook e che padre Viganò accetta di raccontare in prima persona con una premessa che la rende ancora più preziosa: “Non abbiamo fatto grandi cose, se non metterci a disposizione”.
“La preoccupazione dei parenti, prima che venisse creata la linea telefonica dedicata, era non sapere che fine avessero fatto i loro cari portati via dall’ambulanza – racconta ancora don Viganò – il nostro compito ovviamente non era quello di dare informazioni sullo stato di salute dei pazienti, ma ci siamo messi a disposizione per cercare le persone telefonando nei diversi reparti e, grazie alla disponibilità degli infermieri, capire dove si trovavano e richiamare i parenti per tranquillizzarli”.
Un gesto semplice che, per molte persone a casa preoccupate, è stato una carezza al cuore capace di superare i muri necessariamente asettici di un ospedale in piena emergenza sanitaria grazie a una voce diventata a poco a poco familiare.
“Oltre a dare informazioni pratiche, questo servizio si era trasformato soprattutto in un momento di ascolto, per allentare un po’ la tensione dei familiari preoccupati – spiega padre Viganò – abbaiamo risposto a oltre un centinaio di chiamate e con qualcuno, telefonata dopo telefonata, è nata quasi un’amicizia. È anche capitato di dire una preghiera al telefono insieme ma anche chi non è credente ha trovato una persona pronta ad ascoltare”.
Attivato il call center, i cappellani dell’ospedale sono ora tornati al loro servizio abituale, seppur con modalità diverse a causa del rischio di contagio: “Anche noi ci siamo reinventati – spiega – attraverso il canale televisivo interno all’ospedale, raggiungiamo con la preghiera e la messa i pazienti ricoverati. Questo isolamento però non deve farci paura: bisogna saper camminare anche controvento, si fa fatica ma basta rallentare il passo e prendere delle precauzioni. Passerà, e il nostro compito è stato, ed è ancora, quello di dare coraggio”.