In Canton Ticino, per la precisione a Sant”Antonino, arriva il colosso della moda Zalando che trasferisce da Neuendorf (Canton Soletta) il centro per la gestione dei resi. Ma il trasloco ha innescato fortissime polemiche oltreconfine come riporta da giorni il Corriere del Ticino.
Il primo motivo riguarda i 350 licenziamenti (212 per lavoratori con contratto a tempo indeterminato e 138 temporanei) che toccheranno gli occupati della prima sede, come ha riferito il sindacato Unia.
La chiusura a Neuendorf è prevista per la fine dell’anno e la società Ceva Logistics – con cui Zalando ha disdetto il contratto – ha avviato il periodo di consultazione previsto in caso di licenziamenti collettivi, ha indicato il sindacato. In Ticino Zalando si affiderà alla società americana di logistica GXO.
Ma il tema caldo è anche quello delle condizioni di lavoro bel centro di Zalando. Il Corriere del Ticino ricorda ad esempio che nel 2023 il settimanale zurighese WOZ aveva riportato la testimonianza di una lavoratrice, secondo cui “ogni dipendente doveva controllare 41 capi di abbigliamento in un’ora. Quindi pochi minuti per disimballare un vestito, controllare il colore e la taglia, verificare che non fosse stato indossato, pulirlo (se necessario), piegarlo e riconfezionarlo. In caso di ritardi, sarebbero scattati avvertimenti scritti e pure il licenziamento. Il tutto per salari decisamente bassi: 3.468 franchi lordi al mese per un impiego al 100% con 42,5 ore settimanali di lavoro”.
Un’altra dipendente, a dicembre del 2023, aveva riferito al 20 Minuten di regole molto severe, tra cui il divieto di parlare con i colleghi o sedersi per tutta la giornata lavorativa di 8 ore e mezza.
A settembre dello scorso anno i dipendenti avevano protestato all’esterno della sede, supportati da Unia, per condizioni di lavoro migliori.
Nel frattempo in queste ore il socialista Giuseppe Sergi ha presentato al Consiglio di Stato un’interpellanza (cofirmatario Matteo Pronzini) dal titolo piuttosto indicativo: «Zalando sbarca in Ticino: un’altra Gucci?».
Il documento inizia con una domanda dai toni forti: «Una ditta, nota da tempo, per pessime e precarie condizioni di lavoro, sbarca in Ticino, liquidando 350 posti di lavoro in un altro Cantone. Vi è da interrogarsi sull’attrattività economica del nostro Cantone. E con urgenza».
Poi Sergi e Pronzini sottolineano quale sia stato con ogni probabilità il calcolo compiuto da Zalando rispetto alla possibilità di avere a disposizione più lavoratori frontalieri in Ticino: «Quali siano gli obiettivi è chiaro: ridurre i tempi di lavorazione e quindi i costi. E a facilitare il raggiungimento di questo obiettivo saranno sicuramente anche i livelli salariali e la possibilità di accedere all’ampio bacino di manodopera frontaliera».
Sergi e Pronzini criticano dunque la situazione imprenditoriale in cui si trova il nostro cantone. «Il Ticino fa figura, ancora una volta, di Cina della Svizzera (forse oggi sarebbe più corretto dire Vietnam, visto che anche in Cina, grazie a scioperi e proteste operaie, i salari sono aumentati), promuovendo di fatto il dumping salariale. Questo non solo per il livello di partenza (i livelli salariali non erano elevati nemmeno nel canton Soletta); ma lì era stata possibile un’azione sindacale che aveva permesso di mettere in moto un meccanismo di miglioramento delle condizioni salariali (introduzione di una tredicesima mensilità, aumenti salariali per personale fisso e temporaneo, nonché un aumento progressivo delle vacanze a cinque settimane). Ma questa via, evidentemente, appariva gravida di conseguenze sui costi ed ecco allora l’offerta del Ticino, dove con il salario minimo legale attorno ai 20 CHF orari, e senza prospettive di ulteriori costi, ci si può arrangiare alla grande. Contrariamente ai discorsi che si fanno nei simposi due volte all’anno (sulle meravigliose start-up, sulle aziende “innovatrici”, etc. etc.) la realtà è che in Ticino sono proprio le condizioni salariali legali– l’estremo basso livello del salario minimo – ad attirare sempre di più aziende di questo tipo. Altro che condizioni quadro favorevoli all’innovazione, etc. etc. La vicenda Kering (Gucci) – e più in generale la triste fine della fashion valley ticinese – non sembra aver insegnato nulla».