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Canton Ticino vecchio e senza lavoratori: i frontalieri servono più che mai ma c’e il boomerang nuove tasse

E chi l’avrebbe mai detto che (pur offrendo ancora, ovviamente, stipendi e salari ben più alti di quelli comaschi e italiani) alla fine il Canton Ticino avrebbe rischiato di rimpiangere i tanto ‘vituperati’ frontalieri? Eppure lo scenario è tutt’altro che utopistico stando al fatto che “il mercato del lavoro ticinese sarà sottoposto a pressioni crescenti legate allo squilibrio demografico”, come segnala l’Ufficio cantonale di statistica (USTAT) in uno studio appena pubblicato.

L’invecchiamento demografico, infatti, non è tema soltanto del Belpaese ma anche il Cantone inizia a farci i conti, con la prospettiva soprattutto sulle ripercussioni relative al mondo del lavoro.

In particolare, con i baby boomers che si avvicinano sempre più all’età pensionabile, oltreconfine si apre la questione serissima del ricambio generazionale sul posto di lavoro. Questione che per l’Ustat assume “una centralità crescente”, riflettendosi soprattutto sulla carenza di manodopera. Cioè esattamente quella che in tanti settori dell’economia ticinese si regge per buona parte sui frontalieri.
Il Canton Ticino è il più anziano della Svizzera e nei prossimi dieci anni un numero record di lavoratori andrà in pensione, mettendo sotto forte pressione il mercato del lavoro locale. Lo rivela un nuovo studio dell’USTAT (Ufficio di statistica del Canton Ticino), co-firmato da Maurizio Bigotta e Vincenza Giancone.

Numeri preoccupanti sull’invecchiamento

I dati non lasciano spazio a dubbi. L’indice di sostituzione, che misura il rapporto tra lavoratori prossimi alla pensione (40-64 anni) e giovani che entrano nel mercato (15-39 anni), è salito a 136 in Ticino nel 2023. Questo significa che per ogni 100 giovani, ci sono 136 lavoratori più anziani. Un divario notevole, ben superiore alla media svizzera di 112.

“Questo squilibrio porterà a un picco nel rapporto tra chi esce e chi entra nel mercato del lavoro, creando una pressione significativa sulla capacità di sostituire i lavoratori in uscita,” spiega Maurizio Bigotta.

La situazione è peggiorata nel tempo: se nel 2012 l’indice per i soli salariati era di 138, nel 2022 ha raggiunto un allarmante 157. L’indice di sostituzione stretto, che confronta chi uscirà dal lavoro nei prossimi dieci anni con chi è entrato nell’ultimo decennio, è passato da 97 a 125 nello stesso periodo, confermando che i prossimi pensionati superano i nuovi ingressi. Il massiccio pensionamento dei “baby boomer” si preannuncia come una “transizione importante” per i prossimi anni.

Frontalieri: una risorsa a rischio

Storicamente, il Ticino ha sempre potuto contare sui lavoratori frontalieri dalla vicina Italia per compensare la carenza di manodopera interna. Questo ha permesso al cantone di avere meno difficoltà nel reperire personale rispetto al resto della Svizzera, nonostante uno squilibrio demografico più marcato tra la popolazione residente.

Tuttavia, questa soluzione non è più così scontata. Bigotta avverte di un “duplice problema”: le stesse regioni di confine italiane stanno affrontando sfide demografiche simili, e il nuovo accordo fiscale rischia di rendere meno attrattivo il frontalierato.

Stefano Modenini, direttore dell’AITI (Associazione delle industrie ticinesi), conferma la preoccupazione in un’intervista al Corriere del Ticino: “Su 16.500 lavoratori con permesso G impiegati nel secondario, la metà ha più di cinquant’anni. In futuro, quindi, anche il numero di frontalieri è destinato a calare. E se ci aggiungiamo il peso fiscale del nuovo accordo, è evidente che il fenomeno diventerà ancora più grave”.

Questa situazione potrebbe portare a una maggiore carenza di manodopera, con ripercussioni negative su settori economici specifici. Le aziende potrebbero faticare a trovare personale qualificato, rallentando la crescita. Per attrarre talenti, potrebbero essere costrette ad aumentare i salari o offrire maggiore flessibilità e telelavoro.

Settori più colpiti

Non tutti i settori dell’economia ticinese sono ugualmente interessati da questo problema. Il settore secondario è quello più sotto pressione: l’indice di sostituzione è quasi raddoppiato tra il 2012 e il 2022, passando da 102 a 190. Ciò significa che il numero di lavoratori prossimi al pensionamento è quasi il doppio dei nuovi assunti. Alcuni rami, come il chimico-farmaceutico, sono riusciti a crescere occupazionalmente senza un significativo aumento dell’indice di sostituzione.

Nel settore terziario, l’indice di sostituzione stretto è aumentato in modo più contenuto (da 95 a 112 in dieci anni), nonostante una forte crescita dell’occupazione. Tuttavia, il settore socio-sanitario e quello informatico presentano già oggi gravi problemi nel reperimento di personale qualificato. In questi casi, la difficoltà non è tanto legata all’invecchiamento demografico, quanto al divario tra le competenze disponibili e quelle richieste dal mercato, e alla rapida espansione che genera una crescente domanda di manodopera.

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