Il mitico Giaguaro, Luciano Castellini, vede gli 80 anni all’orizzonte. E pur non essendo certo un amante della retorica – il suo carattere riservato è proverbiale – ha appena affidato alla Gazzetta dello Sport uno dei tanti ricordi legati alla sua terra. Anzi, al suo lago, il Lago di Como, con Menaggio – da cui non si è mai staccato – come piccola e insostituibile patria.
L’autentico monumento del calcio italiano, formidabile portiere che tra gli anni ’70 e ’80 ha sollevato trofei (con il Torino campione d’Italia ne ’75-’76, giusto per citarne uno) e collezionato record (fu il ‘muro’ del Napoli dopo l’esperienza granata), prima di intraprendere – soprattutto con l’Inter – una lunga carriera da allenatore dei giovani numeri uno, riempita di gioie e soddisfazioni.
Oggi, a 79 anni, Castellini lavora ancora per il club nerazzurro: “Come me la passo? Benissimo – ha dichiarato nell’intervista alla Gazzetta – Sono in continuo movimento, faccio ancora qualcosa con l’Inter, studio, osservo. Poi sport, sono un grande sciatore. Ma da solo, tutti i lunedì, quando non c’è nessuno”.
Ma inutile girarci attorno, a fare scalpore in queste ore sono soprattutto i ricordi del Giaguaro sulla sua antica attività da contrabbandiere tra Lago di Como e Svizzera. Ora che sono passati tanti anni, oltre mezzo secolo, Castellini può raccontare la sua attività – davvero incredibile a sentirla adesso – di contrabbandiere: “Facevo lo spallone. Ci portavano con le auto sulla montagna, dall’altra parte, in Svizzera. Ci mettevano degli zaini di paglia intrecciata, sacchi di 20 chili, pieni di sigarette, le famose ‘bionde’, sulle spalle e giù in picchiata, di notte, sul versante italiano. Mi davano 20mila lire a viaggio”.
“Era faticoso – spiega Luciano alla ‘Gazzetta dello Sport’ – Di giorno mi allenavo nel Monza in Serie B (è stata la sua prima squadra, dal 1965 al 1970, quindi dai 20 ai 25 anni di età, ndr) e di notte facevo lo spallone. Lo facevo perché guadagnavo poco? Rimborso spese di 20mila lire. Prendevo il battello (viveva con la famiglia a Menaggio, sul lago di Como, ndr), poi il treno per Monza. Un paio di panini e una bibita e me ne partivano 19mila. Mia mamma voleva che studiassi. Mio padre era preoccupato: ‘Sarà minga un mestee giugàa al balon’. Insomma, in casa c’erano discussioni”.
E invece giocare a calcio ha cambiato la vita di Castellini: “La più grande soddisfazione è stata quella di non essere mai andato in fabbrica: ho fatto una bella vita e pochi sacrifici. Quando ero ragazzo dicevo a papà: ‘Io non vado a lavorare, faccio il portiere’, e lui si arrabbiava: ‘Non è un lavoro quello, hai capito?'”. E non lo è stato neanche quando è entrato nello staff tecnico dell’Inter dopo il ritiro da calciatore: “Sono stato bene, era la mia squadra del cuore fin da bambino, lo è sempre. La squadra dei miei secondi 40 anni. No, non è mai stato un secondo lavoro. Io non ho mai lavorato: ho fatto il portiere”.