“Vorrei che tutti noi riflettessimo su questo: finita l’epidemia cosa rimarrà? Sarete ancora disposti a finanziare per aiutare i pazienti con malattie rare, per migliorare gli ospedali o per garantire corsi di formazione, per sperimentare nuovi farmaci e nuove cure?”.
Il messaggio che abbiamo ricevuto da una nostra lettrice, Greta Gorla, è di quelli che in due righe ci mettono a nudo, che smascherano la nostra coscienza tranquilla e ci obbligano a fare i conti con noi stessi.
Perché vanno bene le donazioni all’ospedale, l’applauso ai medici sul balcone di casa, l’arcobaleno e (ci mettiamo anche noi nella partita) gli appelli per invitare a donare, a sostenere chi è in prima linea contro il Covid. Ma l’avremmo fatto se la paura di finire attaccati a un respiratore non ci avesse toccati direttamente?
E, quando tutto sarà finito, ci ricorderemo che ci sono malattie rare e ricercatori e ospedali che hanno bisogno? O siccome non ci toccano da vicino sarà più facile fare finta che non esistano?
“Soffro di una malattia genetica, la Poliposi Adenomatosa Familiare (FAP) – racconta Greta, che abbiamo contattato per approfondire la sua storia – ne soffriva anche mia mamma, che purtroppo non ce l’ha fatta, e anche la mia era già degenerata in tumore: ho subìto sette interventi, tra questi uno al colon, poi mi hanno tolto parte dello stomaco e non sapevo neanche se ne sarei uscita viva e il rischio che si ripresentino problemi c’è sempre”.
Una voce sottile ma forte e una maturità e una compostezza che non ti aspetteresti da una ragazza di neanche 30 anni che avrebbe tutte le ragioni per essere arrabbiata con la vita: “Ho un’invalidità di 198 euro al mese con cui non copro neanche le spese per le medicine di una settimana ma non è questo il punto – dice – in questo periodo ho visto una grandissima solidarietà da parte di aziende, Vip, persone comuni per l’emergenza coronavirus mentre io da 5 anni trovo solo porte chiuse, anche in Regione, quando chiedo aiuti per la ricerca. Mancano persino i gesti più piccoli: ho visto bambini ricoverati nei reparti oncologici che chiedono solo di poter incontrare il loro idolo e non ricevono neanche una risposta”.
“La mia non è una polemica – conclude – mi piacerebbe solo far riflettere sul fatto che per questo virus prima o poi si troverà una cura mentre per qualcuno la paura di non farcela non finirà con il Covid. Sarebbe bello che la solidarietà non si fermasse, perché solo così si può sperare di trovare nuove cure”.
Ecco il testo integrale del messaggio che ci ha inviato Greta:
“Esordisco che non voglio assolutamente né criticare né tantomeno fare polemica, però sto vedendo, in questi ultimi mesi, influencer, stilisti, grandi società, gruppi del fantacalcio, curve degli stadi e chi più ne ha più ne metta, donare o avviare raccolte fondi da diversi milioni di euro con lo scopo di dare aiuto in questo tragico momento di Covid-19.
Da una parte mi fa piacere perché si ha la dimostrazione che l’unione fa la forza per raggiungere l’obiettivo di far rialzare l’Italia. Ma allo stesso tempo penso che forse tutta questa ‘beneficenza’ andrebbe fatta non solo in questi tragici momenti.
Quanti ospedali, quanti pronto soccorso, quanti bambini, adolescenti, adulti, anziani combattono ogni giorno per una grave malattia, che alle volte li porta anche alla morte, senza avere un sostegno, una cura o un aiuto dallo Stato?
Da paziente che ha rischiato la vita e grazie a chissà chi è ancora qui, mi chiedo: se tutte queste donazioni venissero fatte con più frequenza, non si potrebbero ottenere ancora più soddisfazione e risultati?
Vorrei che tutti noi riflettessimo su questo, ma soprattutto su cosa rimane finito tutto ciò.
Sarete ancora disposti a finanziare per aiutare pazienti con malattie rare, per migliorare gli ospedali o garantire corsi di formazione, per sperimentare nuovi farmaci o nuove cure?
Detto ciò vi ripeto che non voglio fare nessuna polemica, ma vorrei che queste donazioni potessero continuare perché anche guarire e trovare nuovi farmaci è salvare l’Italia”.