A Baggero, una piccola frazione di Merone, resiste uno degli ultimi baluardi di un mestiere antico: quello dello zoccolaio. La bottega della famiglia Sangiorgio, oggi guidata da Roberto e da sua moglie Francesca, compie 103 anni, ma la sua storia affonda le radici ben oltre: “Il lavoro lo faceva già mio nonno, intorno al 1920 – racconta Roberto, zoccolaio da tre generazioni – Ufficialmente diciamo che il negozio è del 1922, ma in realtà è iniziato prima, poi negli anni ’30 si è strutturato come vero e proprio laboratorio artigianale”.
Roberto ha passato la vita tra i profumi del legno e il suono dei chiodi battuti a ritmo regolare: “Da bambino venivo qui, giocavo e intanto mi facevano lavorare. Dopo la scuola ho fatto tre anni da elettricista, ma non ho mai davvero pensato a fare altro. Dopo il militare sono tornato, e non me ne sono più andato. Mi è sempre piaciuto questo mestiere”.
“Facciamo tutto noi, ancora a mano, ancora con tanta passione”
Un’arte tramandata di generazione in generazione, che oggi rischia di estinguersi, stretta tra burocrazia, concorrenza globale e la sparizione dei fornitori locali. “Una volta c’erano 74 artigiani del legno solo in Toscana – spiega – Oggi ne sono rimasti tre o quattro. Chi ci fornisce i fondi ormai ha 73 anni ma dopo di lui chissà se ci sarà qualcuno, non saprei più da chi andare”.
Eppure, il fuoco non si è spento. “Facciamo tutto noi, ancora a mano, ancora con tanta passione. Se ho tutti i pezzi pronti, in mezz’ora monto uno zoccolo. Ma se manca qualcosa, prima bisogna far tornare i materiali”.
Un tempo, il laboratorio Sangiorgio era popolato da una decina di persone. C’erano il nonno, il padre e qualche operaio. Oggi, invece, sono rimasti in due: lui e sua moglie Francesca, che ha lasciato il lavoro da assistente dentista per dedicarsi alla bottega. “All’inizio è stato difficile entrare in una famiglia con una tradizione così forte – racconta lei – ma per amore lo si fa e alla fine devo dire che questo lavoro mi piace molto. Sono una persona creativa, e vedere il prodotto che nasce sotto le tue dita ti dà una soddisfazione enorme”.
Un’intuizione che ha salvato l’attività
Ed è stata proprio lei a salvare l’attività negli anni più duri, grazie a una scelta che si è rivelata vincente: aprire il negozio online. “Io all’inizio non ci credevo – confessa Roberto – è stata mia moglie a spingere e adesso ci dà tante soddisfazioni, ci trovano persone da tutta Italia e anche dall’estero. Una volta è arrivata una cliente dall’Olanda che ci ha ordinato tantissimi zoccoli”.
“Roberto non era tanto convinto, ma poi l’ho persuaso – spiega Francesca – Siamo andati a un corso di Confcommercio a Lecco, e abbiamo aperto il sito. Ora l’online lo gestisco io ed è stata la nostra salvezza”.
Ma anche nel digitale, la qualità ha un prezzo. “Quando arrivano i clienti – concorda la coppia – e iniziano a fare questioni sui prezzi, ci passa la voglia. Però poi li prendono comunque perché se vuoi la qualità, devi pagarla“.
Un lavoro di qualità per una calzatura storica
E la qualità qui si tocca con mano. Gli zoccoli vengono realizzati uno a uno, su misura, con materiali naturali. “La base in legno di tiglio o faggio arriva da Brescia – spiega Roberto – poi lavoriamo la pelle e il cuoio, tagliamo le forme, le stampiamo e cuciamo, mettiamo tomaia (ndr. è la parte superiore della calzatura), fibbie e chiodi a seconda dello stile che vuole il cliente. Il legno è un ottimo materiale, è più asciutto, fa respirare il piede e lo tiene sano, è fresco d’estate e caldo d’inverno ma tanti non lo sanno. Oggi la gente guarda solo il prezzo”.
Dal dopoguerra fino agli anni ’80, gli zoccoli erano una calzatura diffusa, usata nei campi e nelle stalle, ma anche dagli operai nelle tintorie. “Una volta vedevi zoccoli conciati da stalla, si mettevano tutti i giorni, nei campi, nel fango. Adesso la scarpa è diventata un accessorio da sera. Mi ricordo che quando ho iniziato, mio nonno mi faceva togliere i chiodi per cambiare le suole. Ora non c’è più questa cultura, solo ogni tanto qualcuno vuole tenere la suola ‘perché ha la forma del mio piede’”.
Un futuro incerto
Oltre alle mode anche il mestiere si è trasformato nel corso degli anni: “In passato quando ancora facevamo noi le suole in legno usavamo la forza del mulino qui dietro, poi il lavoro è cambiato, abbiamo deciso di comprare il legno altrove”. La sede storica infatti si trovava accanto al fiume Lambro: l’acqua muoveva le macchine. “Abbiamo scelto questo posto apposta, in zona c’era tutto”.
Oggi la bottega resiste, ma è diventata un’eccezione. “Prima c’erano tanti negozi come il nostro ma ormai al giorno d’oggi la gente si è abituata a comprare su Shein e siti simili, è attratta dal prezzo basso ma la qualità è un’altra cosa”.
Nonostante tutto, Roberto tiene duro ma il futuro è incerto. “Tra un po’ andrò in pensione, e dovremmo chiudere. Non troviamo nessuno che voglia imparare il mestiere. Nessuno è mai venuto a chiedermi: ‘Fammi imparare il tuo lavoro'”.
Una volta al negozio c’era la fila. “Ricordo le nonne che portavano i nipoti a farsi fare gli zoccoli, era una festa per loro. Oggi? Nulla, le mode sono cambiate e i giovani preferiscono avere scarpe morbide e cambiarle spesso”.
Eppure, chi arriva fin qui spesso lo fa con un desiderio ben preciso: “Ci vedono online e ci dicono: ‘Non trovo più nessuno che faccia gli zoccoli come una volta‘. E quando li vediamo contenti, quella è la vera soddisfazione”.
“Finché resistiamo, andiamo avanti”
Lo zoccolificio Sangiorgio non è solo un’attività commerciale, è un pezzo di storia. Un mestiere, quello dello zoccolaio, che richiede testa, cuore e mani, ma soprattutto tempo, dedizione e passione, e che rischia di finire dimenticato. “Dopo 103 anni di attività, alla fine resta l’idea dei nonni, ma tutto intorno è cambiato”. Oggi i Sangiorgio resistono. Ma per quanto ancora? “È un mondo che sta scomparendo – dice Roberto – È cambiato tutto, ma finché resistiamo, andiamo avanti”.