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In provincia di Como il santuario degli artigiani del legno, un miracolo da 5 generazioni: “La poesia del vecchio, non del nuovo. O andate all’Ikea”

“Questo mestiere è arte e poesia, ma non rende molto”, scherza Roberto Meroni, mentre accarezza un cassettone dell’Ottocento.

La sua bottega ad Albavilla è un piccolo santuario del restauro di mobili antichi, un luogo dove il tempo si misura a colpi di scalpello e nell’odore della cera. La passione per il legno e per il restauro corre nella sua famiglia da generazioni: il bis-bisnonno era falegname, il bisnonno cominciò a sistemare mobili e da lì nacque la tradizione che ancora oggi vive tra queste mura.

Fino a qualche anno fa, in bottega lavorava anche il fratello Giacomo, ora andato in pensione, a testimonianza di un’eredità artigianale che affonda le radici nel 1800. Ogni pezzo custodisce una storia, ma il mercato moderno sembra sempre meno disposto ad ascoltarla.

Un lavoro lento, ma prezioso

Il restauro è fatto di gesti pazienti, di tempi che non si possono accelerare senza perdere qualità. “Anche se sei velocissimo, e dico velocissimo, per riparare una sedia ti servono due giorni. E non perché sia complicata in sé, ma perché i materiali di oggi non hanno nulla a che vedere con il legno originale”.

E poi c’è il costo. “Due giorni di lavoro a 20 euro l’ora fanno 400 euro. La gente sente certe cifre e si spaventa. Perché? Perché all’Ikea una sedia la trovi con meno della metà”.

Il fascino dell’antico e il tramonto della moda

Eppure, Meroni è convinto: “Oggi conviene guardare al vecchio più che al nuovo. Alle aste trovi mobili di grande valore a prezzi bassi, perché non li vuole nessuno. Il mercato si è chiuso su se stesso. Negli anni d’oro, i mercatini pullulavano di commercianti e curiosi, ma la ‘bolla’ è scoppiata. Con stipendi medi da 1.300-1.400 euro, l’idea di spendere mille euro per un restauro compete con la tentazione del nuovo a basso costo“.

Eppure, il mobile antico ha un fascino che nessun prodotto industriale può replicare.

“Per fare questo mestiere servono due competenze: conoscere gli stili, altrimenti non sai cosa stai lavorando, e conoscere la tecnologia dell’epoca. Ogni periodo storico ha avuto le sue tecniche: un tempo i cassetti erano inchiodati, poi hanno inventato la coda di rondine, poi la mezza coda, prima il fondo era appoggiato, poi hanno cambiato sistemi. Queste cose un restauratore le nota più di un antiquario o di un commerciante, perché ci lavora direttamente”. Questa attenzione ai dettagli porta anche a delle scoperte spiacevoli, è il caso di una scrivania francese portata da una cliente: “Bellissima, con bronzi dorati, come quelle che si vedono negli uffici presidenziali, però, tolti i bronzi, sotto il piano trovai del truciolare. Ora, il truciolare è stato inventato tra il 1940 e il 1950, mentre quel mobile avrebbe dovuto essere del 1730″.

Il mestiere imparato in famiglia

Per acquisire questa attenzione e bravura c’è voluta tanta pratica e impegno. “Alle medie, finita la scuola, andavo subito in laboratorio. Non l’ho mai vissuto come un’imposizione: da giovani bisogna imparare e fare. Se non ti costruisci il futuro da solo, nessuno lo farà per te”.

Non sono mancati i sacrifici. “Un idraulico, in una settimana, guadagna più di noi. Una volta ci avevano offerto 5 mila franchi al mese in Svizzera per lavorare per terzi. Non siamo andati per motivi familiari. Me ne pento? No, ho scelto io liberamente”.

E oggi, a chi desiderasse aprire un laboratorio per mandare avanti il mestiere, Roberto non mente: “È troppo costoso: già dal primo trimestre devi pagare l’Inps, che oggi è intorno ai mille euro, mentre quando ho iniziato erano 280 mila lire. Poi arrivano gli acconti Iva, le tasse, il costo dei materiali. E serve una rete di clienti affidabili, il rischio è fare da banca ai clienti: c’è chi paga subito, chi con un po’ di ritardo e chi ti propone rate da 200 euro al mese”.

I clienti affidabili sono fondamentali e, per un artigiano come Roberto, l’esperienza insegna a distinguere subito di chi ci si può fidare.

“A spaventarmi non è chi è onesto, ma lo sconosciuto che arriva con macchine di lusso e poi diventa evasivo. Noi non abbiamo mai fatto e non vogliamo farci pubblicità: il lavoro ci è sempre arrivato per passaparola, è meglio conoscere con chi fai affari, sai già se una tale persona paga subito, paga a rate o non paga proprio e ti comporti di conseguenza. Per questa ragione non ci siamo mai spinti troppo nel mercato cittadino, anche se lì i margini sono più alti. E fino a qualche anno fa non ne avevamo neanche bisogno, c’era il telefono squillava di continuo, ma ora tutto è diverso”.

Un mercato che cambia e non perdona

Un’altra difficoltà, secondo Roberto, è sicuramente la concorrenza tra commercianti che ha spesso fatto più male che bene.

“A San Francesco organizzavano una fiera antiquaria tra commercianti comaschi, ma invece di collaborare si facevano concorrenza serrata. E come è andata a finire? Quando hanno fatto ordine nei magazzini, hanno persino chiesto a noi artigiani se volevamo prendere in carico i mobili invenduti”.

Meroni conosce bene le dinamiche del mercato: “Quando cresce, tutti pensano di poter chiedere cifre alte. A volte compriamo mobili come semilavorati: li paghi poco, li sistemi, li rivendi. Ma se uno ti chiede mille euro per un pezzo che non li vale, gli dici: ‘lo venda pure a qualcun altro'”.

Il nemico invisibile: il riscaldamento moderno

Poi c’è la questione tecnica: pochi sanno che il riscaldamento delle case moderne è un problema per il mobile antico. “Dalla metà di novembre ad aprile il legno vive a 18 gradi costanti e tende ad asciugarsi, mentre una volta le case si scaldavano con stufe o camini, con temperature e umidità molto più variabili. L’aria secca, soprattutto con vento, fa perdere umidità al legno rapidamente. Così si ritira e, se non usi un umidificatore, finisce per creparsi“.

Racconta un episodio emblematico: “Una volta abbiamo aggiustato una credenza di 300 anni. Era un periodo di secco pazzesco: i proprietari hanno sentito una schioppettata in casa, era il coperchio della credenza che si era spaccato a metà. Si ripara tutto, certo, ma la costruzione dei mobili d’epoca era pensata per un altro clima, non quello di adesso”.

Giovani e bellezza: un rapporto difficile

Meroni scuote la testa: “Oggi è difficile che un ragazzo si avvicini al bello. Vogliono il telefonino da mille euro perché fa tendenza o la marca perché ce l’ha l’amico. Il mobile d’epoca? Anche nelle famiglie più importanti diventa difficile ricollocarlo ai figli”.

A riguardo fa l’esempio della situazione di un medico del Valduce che lo chiamò per valutare dei mobili in un appartamento: “Ogni stanza aveva uno stile diverso, mi disse: ‘Ho cinque figli: uno vuole la moto, uno vuole andare in America… Io cosa faccio? Nessuno vuole questi mobili, sono costretto a venderli'”.

Tra storie di clienti e memoria del territorio

E poi ci sono quelle persone che hanno mandato i mobili da riparare ma poi se li sono dimenticati per decenni nella bottega di Roberto. “Una farmacista ci lasciò mobili della nonna per 25 anni. Provai a chiamare un altro cliente che aveva un mobile nel mio magazzino, poi seppi che era in cura per leucemia. Non l’ho più disturbato: il mobile è ancora qui, lui e la sua famiglia lo sanno ma giustamente hanno altre cose a cui pensare”.

La bellezza che non passa di moda, anche se il mercato cambia

Nel suo laboratorio ogni pezzo ha una storia: cassapanche da corredo nuziale, tavoli fratino smontabili per le vacanze in campagna, mobili tramandati come ricordi di famiglia. Lì, tra profumo di legno e colla, il tempo scorre più lentamente, e ogni restauro è un ponte tra passato e futuro.

“La soddisfazione più grande – conclude – è sentire un cliente dire ‘Che bel lavoro’. Peccato che non si possa vivere di soddisfazioni, all’Agenzia delle Entrate non le accettano”.

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