Le scuole resteranno aperte. Anzi no, meglio tornare alla didattica a distanza. Erano anni che non sentivamo i politici parlare tanto della scuola.
Ma alla fine cosa resta? Che gli insegnanti devono rimboccarsi le maniche e trovare il modo migliore per lavorare con i loro studenti perché la Dad, a cui le scuole superiori sono dovute tornare a un mese dall’inizio dell’anno scolastico, è una sfida anche per i professori.
“Essere insegnanti oggi è sicuramente più impegnativo – racconta Valentina Romano, docente al Liceo Paolo Giovio di Como – Quando in primavera abbiamo iniziato la didattica a distanza, era necessaria per non perdere i ragazzi e per costruire con loro un ponte. Adesso invece ci siamo illusi di poter tornare a scuola e personalmente sono molto arrabbiata perché credevo di poter ricominciare normalmente la scuola. Nei pochi giorni in classe, seppure in alternanza con la Dad stavamo recuperando relazioni e comunità di classe. Le cose a scuola funzionavano, malgrado i limiti oggettivi, dispiace che siano state chiuse perché tutto ciò che ruota intorno alla scuola come i mezzi pubblici non è stato adeguato”.
E’ d’accordo Elisabetta Patelli, presidente onoraria dei Verdi della Lombardia. “Gli istituti si sono organizzati in estate, chi più chi meno, e l’ambiente scolastico era abbastanza sicuro. Il problema era ciò che accadeva fuori – analizza Patelli – in primis sul trasporto pubblico, erroneamente portato a una capienza dell’80%, e nel tempo libero. Sulla movida si è intervenuti troppo tardi”.
Elisabetta Patelli sottolinea quindi i limiti della didattica a distanza: “La Dad non può essere la soluzione al problema. Sicuramente oggi è migliore rispetto alla scorsa primavera ma salvo alcune virtuose eccezioni non riesce a sopperire al bisogno di lavorare insieme della classe. Oggi, visti i mesi che si prospettano, serve fare un salto di qualità nella didattica a distanza, serve renderla partecipativa e collettiva, e non semplicemente sparare in video la lezione. Non solo alle superiori ma anche all’università perché altrimenti si rischia demotivazione e impreparazione negli studenti che saranno gli adulti di domani”.
Quindi conclude: “La mia grande paura è per gli studenti più fragili, rischiano di essere pesantemente penalizzati e l’onere della loro istruzione rischia di ricadere sulle famiglie. Penso non solo a chi ha difficoltà di apprendimento ma anche ai bambini stranieri o che vivono in particolari condizioni sociali oltre a tutti coloro che hanno una disabilità fisica o intellettiva e che non possono godere a pieno dell’aiuto della classe, spesso fondamentale, e dell’insegnante di sostegno”.
Anche Valentina Romano ha dei dubbi sulla validità dell’insegnamento online ma non nasconde anche effetti positivi di questo strumento. “A lungo andare è chiaro che c’è il rischio che i ragazzi siano meno preparati perché le lezioni online sono più corte, i contenuti ridotti e c’è il grosso problema dell’attendibilità delle verifiche – sottolinea l’insegnante – però d’altra parte io ho avuto modo di valutare anche gli aspetti positivi nati dalla Dad. Ad esempio ho scoperto caratteristiche importanti in alcuni studenti di problem solving e competenze digitali che non conoscevo e ho notato che alcuni ragazzi, più timidi in classe, dietro a uno schermo intervengono di più e si sono messi in gioco. Insomma non demonizziamo tutto perché oggi la didattica a distanza ci permette di proseguire il percorso con i nostri studenti”.
Gli studenti: “Ricordatevi che esistiamo”
“Pensavamo di restare a scuola più a lungo e invece abbiamo dovuto rivedere i nostri programmi”. Ce lo racconta Isabella Malatrasi, studentessa al quinto anno al Liceo Volta di Como e rappresentante del suo istituto alla Consulta Provinciale degli Studenti di Como.
“Davvero non riusciamo a spiegarci la scelta delle istituzioni di riportarci alla didattica a distanza – racconta Isabella – Le scuole si sono attrezzate e hanno fatto investimenti. Ad esempio al Volta era stata potenziata la rete internet per rendere funzionale la didattica mista fin dal primo giorno: ogni classe era metà in presenza e metà a casa e ci si alternava di settimana in settimana così che in caso di positività di qualcuno non tutta la classe fosse obbligata a casa”.
Un po’ di delusione ma anche grande concretezza tra gli studenti. “Ci rendiamo conto della situazione e che non esiste una formula magica per risolverla – spiega la studentessa – ma chiederei un po’ più di chiarezza alle istituzioni e indicazioni precise soprattutto per i ragazzi che quest’anno devono affrontare la maturità. Cercate di tenere in considerazione la nostra esistenza”.
Le fa eco il “collega” Maverick Alessi che frequenta l’ultimo anno alla Magistri Cumacini. “Gli studenti delle superiori da un giorno all’altro sono stati lasciati a casa senza ricevere troppe spiegazioni ma soprattutto le classi prime, che ancora non conoscono compagni e insegnanti, e le quinte, che devono affrontare la maturità, hanno bisogno di fare lezione in presenza – spiega lo studente – Senza contare il grosso problema degli istituti tecnici e professionali che stanno perdendo ore e ore di laboratori fondamentali per l’ingresso nel mondo del lavoro. A scuola i ragazzi si sentono sicuri perché tutti gli istituti hanno investito e organizzato al meglio. Dove abbiamo paura è invece sui mezzi pubblici”.
Maverick da tre anni è membro della Commissione sui Trasporti della Consulta Provinciale degli Studenti e conosce bene i problemi dei mezzi pubblici. “Non si tratta di una questione nuova, i bus non sono sovraffollati con il Covid, lo erano anche prima – spiega Maverick – Tre anni fa abbiamo realizzato un sondaggio tra gli studenti su questo tema, ci hanno risposto in 3mila su 10mila studenti della provincia e il responso era chiaro: linee urbane tra le più cariche, in particolare la 1 e la 6, ma ci sono problemi anche sulle extraurbane, in particolare su C50 (Cantù), C74 (Valmorea) e C70 (Caccivio)”.
Quello che chiedono gli studenti sul tema è semplice: “Le istituzioni si dovrebbero mettere a un tavolo e dare risposte univoche – conclude Maverick – soprattutto sul tema mezzi che hanno bisogno di essere sistemati e implementati”.
Nei giorni scorsi, subito dopo l’inizio della didattica a distanza per le superiori, l’Unione degli Studenti della Lombardia ha organizzato uno sciopero, con presidio sotto il palazzo della Regione a Milano. Diversi gli studenti che, rispettando il distanziamento, si sono ritrovati per fare lezione all’aperto. “La Dad per l’intero anno scolastico sarà qualcosa di molto difficile da affrontare per noi studenti – commenta Arturo Boscarol, referente regionale per Como dell’Uds Lombardia – Malgrado i miglioramenti nelle lezioni a distanza rispetto a marzo, questo tipo di scuola è alienante per i ragazzi”.
Como senza provveditore
Dall’inizio di settembre, Como è senza un provveditore. In questi due mesi, non è ancora stato nominato un sostituto per Roberto Proietto che alla fine di agosto è andato in pensione. Per questo, i sindacati della scuola Flc Cgil, Cisl scuola dei Laghi, Uil Scuola, Snals Confsal e Gilda hanno chiesto un incontro urgente all’ufficio scolastico territoriale, anche in video conferenza.
“Un funzionario che va in pensione non è qualcosa di improvviso, si sapeva da mesi – commenta Rosaria Maietta della Flc Cgil – è gravissimo che, in questa situazione di emergenza, non sia stata ancora trovata la figura adatta, malgrado per quanto ne sappiamo siano arrivate diverse candidature. In questo momento, come mai prima, serve un coordinatore che organizzi, sempre nel rispetto dell’autonomia scolastica, le proposte e le necessità dei vari istituti e si rapporti non solo con loro ma anche con gli enti locali e le istituzioni”.
Maietta aggiunge: “In queste settimane il provveditore è mancato per la gestione delle nomine dei precari ma anche per la gestione della Dad alle superiori. La sua presenza alleggerirebbe il lavoro dei singoli dirigenti scolastici”.
La scuola, a tutti i livelli, in questo momento storico deve rapportarsi non solo con le famiglie ma anche con la sanità. “Sarebbe importante tornare ad avere una figura di coordinamento – conclude la segretaria della Cgil – Aiuterebbe le scuole a seguire un protocollo unico e non, come accade, a fare da sé”.
Didattica in presenza? Servono importanti lavori nelle scuole
Scuola in presenza sì, ma dove? I problemi delle strutture scolastiche dell’intero territorio nazionale, provincia comasca compresa, sono noti e ampiamente documentati. Per quel che riguarda la città di Como solo la scorsa settimana su queste pagine è stato realizzato un ampio reportage sulle condizioni della secondaria di primo grado di Sagnino e della primaria di via Brogeda a Ponte Chiasso tra muffa e piani inagibili.
Inoltre proprio in questi giorni ci sono stati problemi alla primaria di via Isonzo a Prestino dove l’acqua è cominciata a cadere in classe dal soffitto e una classe seconda è stata costretta a trasferirsi. Andando indietro nel tempo è ben nota la vicenda di via Perti che per tutta l’estate 2019 ha lasciato con il fiato sospeso i genitori per il rischio di una possibile chiusura per inagibilità della struttura. E ancora invece la chiusura reale dello storico asilo Sant’Elia.
Questo solo per citare alcune strutture del primo ciclo di studi di proprietà comunale che si trovano in condizioni precarie. Ad ogni modo già a maggio l’amministrazione Landriscina annunciava interventi di manutenzione straordinaria per 1,7 milioni di euro. A luglio invece il Comune annunciava lavori ordinari di impiantistica e adeguamento per 400mila euro.
Non se la passano molto meglio gli istituti superiori di proprietà della Provincia di Como. “Prima dell’inizio dell’anno scolastico in accordo con i presidi abbiamo effettuato con fondi nostri alcuni interventi di adeguamento – spiegano da Villa Saporiti – Dal Miur nel frattempo in estate sono arrivati 750mila euro che contiamo di utilizzare durante l’anno in base alle richieste degli istituti”.
Un commento
Sono pienamente d’accordo, non era la scuola il problema, ma lo era quello che succedeva appena fuori…..