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L’ora dello tsunami. Caritas: “Accoglienza stravolta dal Decreto Sicurezza. Impossibile continuare”

Uno tsunami – di fatto firmato “Matteo Salvini” – si abbatte sulle comunità parrocchiali comasche attive nell’accoglienza dei migranti. Con una lettera dai toni durissimi, infatti, il Consiglio Caritas della Diocesi di Como annuncia un sostanziale stop alla propria opera perché il lavoro “è ora stravolto dalle conseguenze del Decreto Sicurezza e dai nuovi bandi di Governi, Prefetture e amministrazioni locali che sapevano di poter contare su un valido aiuto di volontari”.
Di seguito, il testo integrale dal titolo “Accogliere nuovamente“.

In questi anni nella nostra diocesi diverse comunità parrocchiali, congregazioni religiose, cooperative e associazioni laicali (circa una sessantina) hanno dato vita ad una forte esperienza di accoglienza dei richiedenti asilo (ad oggi ancora circa 400 in tutta la diocesi di Como) diffusa sul territorio, hanno messo a disposizione strutture abitative, ma soprattutto volontari (circa 200) e operatori (circa 60) che nel tempo hanno costruito un importante tessuto di accoglienza.

Si è intervenuti sempre in chiave sussidiaria e di collaborazione per sopperire alle necessità delle strutture pubbliche. Spesso si è stati accusati di fare i nostri interessi, dimenticando che ci siamo occupati di profughi e migranti su richiesta, a volte pressante, di Governi, Prefetture e Amministrazioni locali, che sapevano di poter contare da parte nostra anche su un valido aiuto di volontari.

Questo percorso è ora stravolto dalle conseguenze del Decreto Sicurezza e dai nuovi bandi delle Prefetture per l’accoglienza dei richiedenti asilo sul territorio della nostra diocesi. Vediamo così compromesso il cammino di cura delle persone, di mediazione e integrazione che ha, fino ad ora, contraddistinto il nostro impegno, sia per la riduzione del contributo da 35 a 21 euro sia per i nuovi vincoli imposti all’accoglienza dai nuovi bandi (qui un articolo in cui occupammo del tema). Ad esempio, si tagliano l’insegnamento della lingua, l’assistenza psicologica (importante per donne e ragazzi che in Libia hanno subito torture e privazioni di ogni genere), la formazione professionale, le attività sociali ecc…

Quindi, come sottolineato anche dalle altre diocesi e Caritas italiane, si teme che si riduca l’accoglienza a «sorveglianza», «a un servizio alberghiero o simil-carcerario», dove all’inclusione si sostituisce un progetto «assistenzialistico o punitivo».

Proseguire su questa strada a queste condizioni ci risulta impossibile. Auspichiamo che questo richiami lo Stato a una nuova assunzione di responsabilità, e che comunque l’abbassamento degli standard non richiami ancor di più operatori ai margini della legalità.

Nelle prossime settimane le diverse cooperative valuteranno l’eventualità di partecipare o meno ai nuovi bandi, in un’ottica che sarà comunque di ridimensionamento, purtroppo anche del numero dei loro operatori. Vista però la dimensione di accoglienza come elemento fondamentale di una società civile, prima ancora che cristiana, ci sentiamo chiamati a rinnovare il nostro impegno, sempre nella logica della sussidiarietà.

Siamo tuttavia consapevoli di come la nostra disponibilità non potrà essere sufficiente a rispondere ai bisogni che già vediamo quotidianamente crescere in molti dei nostri servizi e siamo preoccupati delle difficoltà che la collettività si troverà ad affrontare, di fronte all’aumento di persone senza prospettive concrete, sia che ricevano o meno lo status di rifugiato.

Senza dimenticare che la chiusura di alcuni servizi Caritas “stagionali” come il dormitorio, (non ulteriormente prorogabili), farà emergere ancora di più l’assenza di risposte alle marginalità nuove, croniche o in transito, ormai affidate alla sola sensibilità delle strutture ecclesiali o del Terzo Settore.

Tutto questo mentre la Diocesi, attraverso la Caritas diocesana, le comunità parrocchiali e il laicato cattolico, si fa già carico di tante altre situazioni di fragilità: sul fronte del lavoro (pensiamo al rinnovato “fondo rete lavoro”), delle persone sole, vittime di dipendenze, di bambini, ragazzi e famiglie fragili, tenendo sempre presente anzitutto un chiaro orizzonte educativo.

Che fare in questa situazione?
Come comunità diocesana ci sentiamo chiamati ad un rinnovato impegno che possa coniugarsi in tre dimensioni.

Ph. Carlo Pozzoni

Le Cooperative della rete Caritas (Symplokè, AltraVia, Agrisol) e le associazioni che accoglievano in abitazioni parrocchiali non saranno più in grado, visti i nuovi bandi, di dare continuità a tutte le accoglienze attualmente in essere, pur con la presenza di volontari disponibili. Cercheranno tuttavia di accompagnare i soggetti più vulnerabili e coloro che stanno ultimando il loro percorso con esito positivo dal punto di vista del lavoro, dell’iter legale, delle prospettive personali.

Di fronte all’inevitabile ridimensionamento dell’azione di cooperative e associazioni, chiediamo alle comunità già impegnate nell’accoglienza di proseguire in questa esperienza contando sulle proprie forze e sulla collaborazione della Caritas diocesana.

Infine, chiediamo alle comunità in cui vi sia una disponibilità abitativa – sia per la chiusura di un percorso di accoglienza, sia per nuova disponibilità – di contattare la Caritas per farsi aiutare nell’avvio di esperienze di seconda accoglienza.

A tutte le comunità della diocesi rinnoviamo l’invito a mettere a disposizione tempo, preghiera, riflessione, volontari, aiuti concreti, generi di prima necessità che permettano alle persone accolte, nella comunità stessa o nel proprio vicariato, di inserirsi gradatamente in un cammino comunitario.

Per rendere complete queste proposte la Caritas diocesana si impegna a costruire e promuovere informazione e formazione su questa nuova prospettiva di accoglienze non solo per persone straniere (migranti e profughi) ma anche per tutte quelle persone fragili, italiane e straniere, che si avvicinano alle nostre comunità in cerca di aiuto e comprensione.

Ci auguriamo in conclusione che, in nessuna parrocchia restiamo con le mani in mano, o restino spazi inutilizzati, e tutti possano contribuire, secondo le proprie possibilità, nell’essere testimoni di Misericordia.

Il Consiglio Caritas della Diocesi di Como

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