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L’uomo del ponte va in pensione. Il mitico ingegner Tarantola in 36 anni ha plasmato Como: “La gioia di quella galleria, il dispiacere Tremezzina”

Trentasei anni in un posto di lavoro sono un bel traguardo, se poi questi sono vissuti in un ente pubblico, con un ruolo di primo piano, il saluto diventa pure complicato dal punto di vista umano oltre che tecnico. Si dice che alla classica panettonata prenatalizia a Villa Saporiti, sede dell’amministrazione provinciale di Como, qualcuno avesse perfino gli occhi lucidi nel salutare il dirigente-ingegnere. Bruno Tarantola va in pensione, sono i suoi ultimi giorni di lavoro spesi per il territorio, anzi proprio per l’ente Provincia di Como. Una terra bella e complicata quella del Lago di Como, che Tarantola ha cercato di collegare e plasmare nel vero senso delle parole, tracciando strade, progettando tunnel, gallerie e ponti, opere che uniscono comunità e tracciano il cammino dei flussi di pendolari, turisti e semplici cittadini.

Nato a Pescara, nel maggio di 64 anni fa, laurea in ingegneria civile all’Università degli Studi dell’Aquila, Bruno Tarantola arriva a Como nella seconda metà degli anni Ottanta.
“Fu per uno dei miei primi lavori nel settore privato e forse era destino che ci sarei rimasto per sempre” spiega l’ingegnere gentile e disponibile. Oggi per l’intervista di saluto, come tante volte è accaduto per spiegare un progetto, commentare un’inaugurazione e pure un ritardo nelle opere o un problema viabilistico da risolvere.

“Nel 1988 ho partecipato a un concorso da funzionario e ho vinto, dopo cinque anni, nel 1993, il secondo concorso vinto per il ruolo di dirigente tecnico, che ricopro tutt’ora”.
Il dirigente nella pubblica amministrazione è il grado di “comando” che possiamo definire più alto, sotto solo a quello del segretario. Tarantola deve così gestire un territorio ampio, che nei primi anni di servizio comprendeva anche il Lecchese. Un settore delicato: progettazione, costruzione e gestione delle strade e dei fabbricati (scuole superiori ed edifici istituzionali), ma anche opere di riassetto idrogeologico, programmazione del Trasporto pubblico e pratiche amministrative sui trasporti privati. Deve condurre un centinaio di dipendenti, molti dei quali sono dei manutentori, dei cantonieri.

“Che oggi non si trovano più – sottolinea l’ingegnere – ne avevamo un’ottantina sono ridotti a 35 operai. Facciamo i concorsi, ma non partecipa nessuno, è un mestiere duro perché l’erba cresce e va tagliata anche la domenica, lo stipendio è quello che è, ma si tratta di un presidio fondamentale per il territorio. Una strada può essere realizzata a regola d’arte quanto si vuole, ma se ogni tanto qualcuno non pulisce le caditoie, anche con una semplice scopa, non controlla i tombini, tutto viene compromesso. Ma qui si dovrebbe aprire un discorso complesso sugli investimenti sulle manutenzioni”.

Concentriamoci ora sulla sua esperienza a Como, ingegnere. Ha lavorato sotto tanti presidenti provinciali, compresi i due fratelli Livio, Beppe, il primo eletto dai cittadini, negli anni Novanta e Maria Rita, dieci anni fa in un passaggio delicatissimo dell’Ente.
Ho di tutti i presidenti un ottimo ricordo, ma come diceva lei, gli anni con Maria Rita Livio sono stati i più complessi a livello di gestione e nelle difficoltà si creano sempre rapporti molto solidi. La legge Delrio del 2014 sulla riorganizzazione delle Province rischiava di abbandonare il territorio, quantomeno sul fronte di strade e scuole. Sarebbe stata un’assurdità cancellare le Province, gli apparati che costano meno allo Stato, 9 miliardi di euro contro i 90 dei Comuni, i 150 delle Regione e i 300 degli altri apparati, dai Ministeri alle forze di polizia.

Ha pensato di passare ad altri enti in tutti questi anni, magari proprio nel 2014?
No, io sono come Del Piero, servo una maglia sola, mi sono innamorato delle strade provinciali, che all’inizio comprendevano pure il Lecchese, ricordo gli anni sulla Lecco-Ballabio. I sottopassi, i viadotti, le varianti. Tantissime opere progettate in house, direttamente dai nostri uffici. Siamo un Ente all’avanguardia, con professionisti qualificati.

Qual è la sua maggiore soddisfazione di questi anni.
Senza dubbio non avere avuto incidenti nei cantieri. Ho sempre chiesto di rispettare i tempi contrattuali, ma prima di tutto di non mettere a repentaglio le persone. Siamo stati anche fortunati, certo, ma le condizioni di sicurezza sono state sempre rispettate al 100%.

Destino vuole che saluti la Provincia con l’inaugurazione di un’opera attesa, come il ponte tra Cantù e Cermenate (qui il racconto).
“Sa che gli svizzeri dicevano che non ce l’avremmo fatta? Si tratta di un’opera particolarissima, un ponte lungo un centinaio di metri, ma realizzato già in curva tutto fuori dalla sede e collocato in seguito a più di 7 metri sopra i binari. A livello progettuale abbiamo dovuto fare i contri con la forte pendenza anche trasversale, un’opera davvero complessa”.

L’intervento a cui è più legato?
Credo la galleria di Pusiano. Uno scavo complesso per condizioni tecniche, con materiali giovani come la marna verso Lecco e la roccia morenica verso Como. Questo significa da una parte roccia più morbida e dall’altra compositi di sabbia e ghiaia, ma oltre al progetto, c’era sicuramente l’impresa giusta, abbiamo rispettato i tempi a risparmiato anche 1 milione di euro sui 36 totali.

Un rammarico ci sarà però? Se pensiamo alla variante della Tremezzina…
Speravo di andare in pensione con l’opera conclusa, è vero. Dal 2010 al 2020 abbiamo fatto un grande lavoro di progettazione spinti da una coppia brillantissima di personalità come Pietro Cinquesanti (politico e amministratore di altissimo profilo scomparso nel dicembre del 2018) e Paolo De Santis (per la Camera di Commercio). L’Anas chiedeva di spezzare in due o tre lotti la variante, ma ci impuntammo ai tavoli regionali: Qui si fa l’Italia o si muore! Anche perché con la divisione in lotti non si sarebbe fatto proprio nulla. L’Anas chiedeva di uscire in Val Perlana, con un impatto paesaggistico troppo importante, sotto la Madonna del Soccorso. La Soprintendenza non avrebbe mai dato il benestare. Abbiamo così perso due anni, ma c’è stata la grande determinazione della politica dalla presidente Livio al presidente Bongiasca, politico capace, con una lunga esperienza alle spalle. Poi, quell’intervento accorato di Mauro Guerra, da parlamentare e da sindaco di Tremezzina, sicuramente decisivo per avere i fondi. Oggi si tratta della maggiore opera stradale finanziata sul territorio nazionale.


Negli anni le strade sono diventate da provinciali a statali e ora ancora provinciali…
Negli anni Sessanta era passata la competenza allo Stato con Anas, possiamo dire che le abbiamo ereditate dopo decenni come le avevamo lasciate… La Provincia ha programmato così maxi investimenti e i connotati della rete stradale sono cambiati, anche nei particolari. Sulla Lariana abbiamo realizzato chilometri di marciapiedi a sbalzo, abbiamo fatto lo svincolo di Lurago d’Erba, la Briantea è stata riqualificata. Poi ci sono stati gli interventi di messa in sicurezza per conto della Regione su aspetti idrogeologici, reti paramassi, le scuole…. Quando ho ereditato il settore di 27 scuole provinciali solo 4 avevano il certificato antincendio, oggi ne mancano 4 da rilasciare con le pratiche già avviate. Lascio in un momento di grandi possibilità e di fondi importanti.

In che senso?
Mai nei miei 36 anni di servizio avevo potuto gestire circa trenta milioni di euro, tra scuole e strade. Si tratta degli effetti diretti del Pnrr, anche attraverso il Ministero della Salute e la Regione.

Ma cosa farà Bruno Tarantola dal 1° gennaio? Passerà al settore privato?
No, mi ritiro come Cincinnato, al di là del Tevere e, tranquilli, non voglio neppure fare l’umarèll a guardare i cantieri. Perché credo di aver già respirato abbastanza fumi di catrame nella mia vita. Il settore va poi in buone mani con l’architetto Saveria Brindisi fino a quando ci sarà il bando per il nuovo dirigente.

Lei resterà a Como però?
Ma certo, mia moglie è di Villa Guardia, i miei due figli sono nati e cresciuti qui, siamo stanziali. Dell’Abruzzo ormai ho solo vaghi ricordi. Sono stato abruzzese i primi 28 anni di vita, ora ne ho 64. Anche all’inizio, quando rientravo, quando parlavo “dalle mie parti…” intendevo sempre il Comasco o la Lombardia.

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