“Ormai sono diventata una pendolare dell’insulina, non riesco più a lavorare per assistere mia figlia e nessuno ci aiuta”. È più rassegnata che arrabbiata (anche se avrebbe tutte le ragioni per esserlo) Lucia Mariani quando racconta la battaglia che sta combattendo, insieme al marito Davide Naitana, per far valere il diritto della loro Matilde ad avere l’assistenza di cui ha bisogno.
“Matilde ha diciotto anni, la Sindrome di Down e un’invalidità certificata del 100% – racconta Lucia – Da marzo, purtroppo, è risultata anche diabetica e necessita di un’iniezione di insulina prima di ogni pasto”. Un problema non insormontabile, a logica, che invece si è rivelato uno di quegli inghippi in cui il buonsenso sembra doversi arrendere di fronte a protocolli e regole inspiegabili.
Perché Matilde non è a casa con mamma e papà tutto il giorno ma ha cominciato, tosta com’è, a trovare uno spazio al di fuori della famiglia in cui fare esperienze diverse e diventare più autonoma: “Da settembre Matilde frequenta il centro della Cooperativa SocioLario a Sagnino – racconta la mamma – ma purtroppo gli operatori non possono somministrare farmaci ai ragazzi, quindi neppure l’insulina prima di pranzo a mia figlia che, con la sua disabilità, non è in grado di farlo né ora né in futuro”.
E così Lucia e suo marito hanno iniziato a bussare a tutte le porte possibili e immaginabili per chiedere l’assegnazione di una persona che potesse svolgere questo semplice compito. “Siamo stati all’ufficio Welfare, dove ci hanno detto che questo genere di aiuto ci sarebbe spettato di diritto, ma poi all’ufficio Assistenza Domiciliare Integrata dell’ATS ci hanno risposto che, dopo i 12 anni, questo servizio non viene più erogato perché si presume che il malato abbia imparato a farsi l’iniezione da solo”, racconta Lucia. Non Matilde, però.
Soluzione? “Nessuna. Ho dovuto lasciare il lavoro e ridurre il mio impegno a tre ore al mattino perché a mezzogiorno, cascasse il mondo, devo essere a Sagnino a fare l’iniezione a Matilde”.
Mi hanno detto che non esistono appigli per aggirare i protocolli che non prevedono casi del genere, ma mi sembra un’assurdità – continua – Non vogliamo aggirare niente, la nostra è una vera necessità e non posso credere che non esistano disabili che necessitano di assumere farmaci fuori casa e né che non sia neppure possibile firmare una liberatoria come quella che autorizza a somministrare il farmaco salvavita in caso di crisi ipoglicemica. Ci deve essere una soluzione”.
E una soluzione la sta cercando l’assistente sociale che segue Matilde puntando anche, come ultima carta, sul fatto che un’assistenza di questo tipo costerebbe molto meno che farle frequentare il centro diurno di via Del Doss, un ambiente oltretutto giudicato non adatto a lei.
E Lucia e Davide? Fanno squadra intorno a Matilde ma non rinunciano a far sentire la loro voce: “Noi, come genitori, denunciamo questa situazione anche a nome e per conto di tutte le famiglie che, come noi, si trovano in difficoltà e osteggiate invece che aiutate. Questo è quanto”. Matilde è tosta, la sua famiglia pure, ma senza aiuti è davvero tutto troppo difficile.