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Önder, vita da romanzo: “Dalla Turchia a Como, dal chiosco al ristorante storico. Giovani, meno mamma e buttatevi”

È una storia di sfide e volontà di ferro quella dell’imprenditore Önder Sevki Sütlü. Originario della Turchia si è trasferito in Val d’Intelvi con la famiglia quando aveva dodici anni. Il trasloco è stato un taglio netto da tutto ciò che conosceva e ha segnato l’inizio di un percorso in salita in cui non sono mancate sfide ma anche grandi soddisfazioni.

“L’integrazione – racconta – non è stata molto difficile perché ero ancora un ragazzino. Tuttavia, a scuola, soprattutto all’inizio ho avuto delle difficoltà, allora non ci ho pensato ma questo cambiamento radicale è stato quello che si chiama oggi un trauma. Con il tempo sono riuscito a integrarmi bene, proprio grazie alla scuola, dalle medie in Val d’Intelvi alla Magistri, alla scuola superiore Ripamonti con indirizzo elettronica e, infine, quattro anni di informatica all’Insubria”.

Nonostante gli inizi nel campo dell’elettronica e dell’informatica la ristorazione è diventata la sua strada. Un amore nato dai sacrifici familiari.
Siamo immigrati, i primi lavori sono quelli umili. Ho iniziato quando avevo 13 anni: lavavo pentole, facevo servizio in sala, insomma mi davo da fare nei ristoranti. All’inizio lavoravo durante il weekend, le festività e il periodo estivo ed ora è diventato un impiego a tempo pieno. Mi ricordo le difficoltà iniziali, quando non potendo lavorare senza documentazione ho dovuto chiedere alla scuola superiore un documento che attestasse che ero fuori dall’obbligo di frequenza e che quindi potevo rimboccarmi le maniche. E poi ho deciso di fare un salto nel vuoto, a vent’anni ho aperto la partita Iva per il chiosco del kebab in piazza Vittoria. Non potevo immaginare se fosse la scelta giusta o il prodotto giusto ma avevo voglia di fare. I problemi non sono mancati, ma li ho superati.

Un percorso partito dal basso, tra burocrazia, documenti da ottenere per poter lavorare regolarmente e quella diffidenza iniziale che chi arriva da fuori conosce bene.
All’inizio c’era un po’ quell’atteggiamento tipico da comasco con la puzza sotto il naso. Ma dopo un paio d’anni mi hanno conosciuto e le cose sono cambiate: i commercianti locali hanno visto che ci mettevo impegno e sono nate delle belle collaborazioni. Quando ho iniziato quest’avventura ero un ragazzo di 20 anni, gestire lavoro, clienti e dipendenti è stata una sfida ma ha forgiato il mio carattere e mi ha permesso di crescere insieme alla mia attività. Le giornate erano lunghe e il lavoro era molto, ogni tanto commettevo degli errori e temevo di non farcela, non sapevo quanto potevo andare avanti in quella situazione ma ho perseverato dovevo garantire un futuro non solo per me ma anche per la mia famiglia, riuscire a costruire qualcosa che alleviasse un po’ le nostre preoccupazioni, qualcosa che ci coprisse le spalle e ora sto raccogliendo molte soddisfazioni.

La voglia di crescere non si è mai fermata nel corso degli anni: dopo il kebab in piazza Vittoria, meta d’obbligo tutto l’anno e meraviglioso con i suoi tavolini nelle serate tra primavera ed estate, il salto nel mondo dei bar e della caffetteria con l’acquisizione dello storico Bar Vittoria in via Cesare Cantù, (meta più che sacra per decenni dei liceali del Volta di qualche epoca fa) trasformato poi nel Farcito, locale frequentatissimo da cittadini e turisti.
È stata un’altra avventura, nuovi clienti, cucina e modalità diverse, non più kebab ma caffè e aperitivi. La sfida più grande è stata quella di rimettere in sesto il locale, che era stato lasciato un po’ andare, abbiamo dovuto investire molto per rimetterlo a nuovo. Dopo tante difficoltà la soddisfazione è arrivata.

Poi è arrivato il Covid, il momento più duro.
Abbiamo avuto molti momenti di difficoltà, soprattutto durante la seconda chiusura invernale, è stata una catastrofe. Per rimanere a galla mi sono inventato la vendita d’asporto: ho costruito un banco fuori dove vedere i piatti, come una casetta della Città dei balocchi di Natale. È stata la mia salvezza”

Quest’anno un altro traguardo si aggiunge alla lista: la gestione dello storico locale La Vignetta a Cernobbio, trasformato in un piccolo albergo con 8 stanze 3 stelle e un ristorante da 50 coperti.
Abbiamo preso e ristrutturato completamente il posto e ho deciso di investire nella conduzione famigliare. Lavorare in famiglia è dura, ci sono sfide e guerre quotidiane, ma alla fine diventa parte della vita. Qui proponiamo piatti dalla cucina tradizionale comasca, milanese e valtellinese con alcuni profumi di mare, come salmone e tonno. Niente piatti turchi: devo pensare da imprenditore e so che non è il posto giusto per questo tipo di cucina, il target è un altro.

Oggi, a 38 anni, Önder guarda indietro con orgoglio e lancia un messaggio ai giovani.
Vedo troppo spesso ragazzi che si presentano con la mamma ai colloqui. Voglio dare un consiglio a questi genitori: se volete bene ai vostri figli spingeteli a cavarsela da soli, solo in questo modo potranno crescere. Conosco molti giovani che hanno deciso di andare a fare la loro esperienza all’estero e riuscire dove avevano fallito a livello locale, e ce l’hanno fatta perché non avevano nessuna rete di sicurezza. Ai giovani dico: buttatevi! Non abbiate paura di sbagliare, perché solo sbagliando si trova la strada giusta. Ai genitori invece: lasciate andare questi ragazzi se no non cresceranno mai.

Una riflessione anche sul mondo della ristorazione e sul tema dello sfruttamento.
Purtroppo nel nostro paese succede così, dire che non esiste è una bugia, ma oggi le cose stanno cambiando rispetto a vent’anni fa, quando si parlava davvero di schiavismo. Mi è capitato che venissero giovani che, dopo aver fatto un decimo rispetto al collega con esperienza ma con le stesse ore, volessero lo stipendio uguale. Servono regole più chiare, soprattutto per i frontalieri, altrimenti non troviamo più nessuno a lavorare. Se oggi tanti ragazzi vanno in Svizzera un motivo c’è.

La sua è una storia di riscatto e di rinunce, di chi ha imparato presto che per farcela bisogna sporcarsi le mani.

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