Padri che spacciano ai propri figli. Mogli che, marito in carcere, prendono in mano l’attività di smercio degli stupefacenti per non far fallire gli affari di famiglia. Giovanissimi consumatori candidati a diventare nuovi pusher.
No, non è la cronaca di un giorno “normale” sotto il giogo di qualche narcocartello in un quartiere di Tijuana. E’ uno spaccato agghiacciante che arriva da Rebbio, quartiere di Como, Lombardia, Nord Italia.
Un’analisi secca e durissima. E’ quella che Don Giusto della Valle (nell’immagine in testa: ©Ph EcoInformazioni), parroco in quel pezzo di città, anima negli anni del volontariato a favore degli ultimi e dei migranti, lascia sulle pagine del Focolare, periodico della comunità di zona.
In una lunga osservazione sui giovani, l’economia, i modelli di mercato e lavoro, il sacerdote descrive uno quadro sociale inquietante tra le strade del quartiere. “Bravi studenti del nostro quartiere, appena finita la scuola superiore o l’università, hanno trovato subito lavoro, si “sono messi a posto” loro. E gli altri? Il 30% degli altri? Di fronte a una difficoltà, affrontarla insieme è la soluzione, a ranghi dispersi, invece, si fa ancora il gioco di chi detiene il potere”.
Premessa, su cui si innesta la descrizione di un quotidiano quasi impensabile per chi abita in altre zone della città: “Una risposta la propongono i venditori di “fumo”, vecchi spacciatori del nostro quartiere, che spacciano anche ai propri figli e giovani leve dell’internazionalizzazione del micro e del medio spaccio, non ultima la bassa manovalanza gambiana e nigeriana“.
Poi la descrizione prosegue con un climax sempre più violento per crudezza:”Ci sono padri di famiglia, spacciatori irresponsabili condannati al carcere che lasciano sole mogli ignare o complici degli affari del marito. Giovani spacciatori-consumatori che non fanno nient’altro nella vita e non ambiscono a un lavoro, che si rovinano e rovinano. Sappiamo bene che i grandi registi dello spaccio, in colletti bianchi, vivono a Reggio Calabria e dintorni. Ancora una volta si cade nella trappola dei potenti che rendono alcuni giovani loro dipendenti attraverso la “sostanza” che gestiscono, servendosi di una infinità di dipendenti di tutte le zone di questa terra. Fa ribrezzo la spietatezza di chi sul disagio degli altri ci fa la fortuna, non altrove ma nel nostro quartiere. Chiedo a Dio per la nostra comunità: non risposte individuali ma collettive, la fantasia di chi inventa nuovo lavoro, la lotta contro chi vende “fumo” e illusioni”
Contattato, Don Giusto conferma parola per parola quanto affidato al Focolare: “La realtà è questa, di droga ce n’è in abbondanza dappertutto qui come in molti quartieri”. Anche in oratorio? “Dappertutto”. E se il racconto arriva da un sacerdote di prima linea, c’è poco di cui dubitare.
Trascriviamo integralmente l’editoriale del sacerdote
Qualche anno fa, quando da poco ero tornato dal Cameroun, sentendo i dati della disoccupazione giovanile in Italia – oggi attorno al 30% circa – mi immaginavo chissà quali manifestazioni di protesta dal parte dei giovani, mi immaginavo anche la nascita di gruppi strutturati di giovani che della comune ricerca sul lavoro facessero una causa. Forse erano immaginazioni sbagliate. Poi col passare del tempo mi sono reso conto del grande potere di unità e divisione che hanno i mezzi di comunicazione moderni. Le primavere arabe, scoppiate in Tunisia da una legittima protesta per il costo della vita troppo alto, si sono diffuse via Sms ad altro. Nello stesso tempo mi sembra che gli stessi mezzi di comunicazione siano dei grandi strumenti nelle mani dei potenti che li usano perché ciascuno se ne stia buono a casa sua, pensando di essere libero. Se non c’è una forte spinta di cambiamento dal basso, i mezzi di comunicazione hanno come risultato il rendere innocue le persone, collegate ma isolate e non protagoniste. Poi la robotizzazione avanza anch’essa sempre nelle mani di super-ricchi a cui intelligenze eccelse di giovani ingegneri e tecnici si sono asservite: milioni di posti di lavoro verranno persi nei prossimi anni sia sul nostro continente sia nelle giovani economie asiatiche (vedi gli studi del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Francesco Gesualdi). Certo il lavoro lo troveranno ingegneri informatici e altro.
“Bravi studenti del nostro quartiere, appena finita la scuola superiore o l’università, hanno trovato subito lavoro, si “sono messi a posto” loro. E gli altri? Il 30% degli altri? Di fronte a una difficoltà, affrontarla insieme è la soluzione, a ranghi dispersi, invece, si fa ancora il gioco di chi detiene il potere”. “Una risposta la propongono i venditori di “fumo”, vecchi spacciatori del nostro quartiere, che spacciano anche ai propri figli e giovani leve dell’internazionalizzazione del micro e del medio spaccio, non ultima la bassa manovalanza gambiana e nigeriana”
“Ci sono padri di famiglia, spacciatori irresponsabili condannati al carcere che lasciano sole mogli ignare o complici degli affari del marito. Giovani spacciatori-consumatori che non fanno nient’altro nella vita e non ambiscono a un lavoro, che si rovinano e rovinano. Sappiamo bene che i grandi registi dello spaccio, in colletti bianchi, vivono a Reggio Calabria e dintorni. Ancora una volta si cade nella trappola dei potenti che rendono alcuni giovani loro dipendenti attraverso la “sostanza” che gestiscono, servendosi di una infinitò di tutte i dipendenti di tutte le zone di questa terra. Fa ribrezzo la spietatezza di chi sul disagio degli altri ci fa la fortuna, non altrove ma nel nostro quartiere. Chiedo a Dio per la nostra comunità: non risposte individuali ma collettive, la fantasia di chi inventa nuovo lavoro, la lotta contro chi vende “fumo” e illusioni”.
3 Commenti
Più che una cosa da servizi sociali, mi sembra più una questione da carabinieri, Don Giusto, da buon cattolico e da buon cittadino, dovrebbe se non lo ha già fatto, uscire dalla sua parrocchia per recarsi alla vicina stazione dei carabinieri (50m a piedi) e denunciare il tutto.
Sarà poi la magistratura, a seguito dei necessari accertamenti disporre l’eventuale affidamento di qualcuno ai servizi della casa circondariale di Como piuttosto che al comune.
caro don grazie per questa tua lotta e denuncia incurante di ogni assenza istituzionale e sociale!con te vivo la fede quella vera e mon protocollare
Come non condividere la preoccupazione e la sofferenza di don Giusto? Mi chiedo come mai ciò che il sacerdote denuncia non sia all’attenzione dei Servizi Sociali del Comune!!! Tentare di costruire una società più giusta e solidale è faticoso, ma non impossibile. Se le istituzioni collaborassero con il volontariato ( dovrebbe essere il contrario ) nel dare risposte ai disagi dei giovani, e non solo, i problemi non si risolverebbero ma si aprirebbe una strada di speranza. In questi ultimi tempi i nostri servizi sociali hanno dimostrato di avere eccezionali capacità demolitive: sottrazione del minimo comfort per migranti e senza tetto e in altre azioni molto discutibili giunte anche all’attenzione dei mass media nazionali. Mi unisco alla preghiera di don Giusto nel chiedere al Signore non risposte individuali ma collettive …..