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Perché è morto Mattia Mingarelli? Da due anni il mistero. Lettera di una famiglia meravigliosa: “Ritroviamo la verità”

Tra pochi giorni, il 7 dicembre, saranno due anni che Mattia Mingarelli è uscito dal rifugio “Ai Barchi” di Chiesa Valmalenco per poi sparire nel nulla.

Diciassette giorni dopo, la vigilia di Natale, il corpo del trentenne di Albavilla fu ritrovato da alcuni passanti in una zona già battuta in lungo e in largo da Protezione Civile, cani molecolari e volontari.

Due anni senza risposte che hanno portato il procuratore di Sondrio, Claudio Gittardi, nel giugno scorso, a chiedere l’archiviazione del fascicolo aperto contro ignoti (qui diverse cronache di questi due anni).

Richiesta impugnata dalla famiglia che per l’inizio dell’anno prossimo aspetta di sapere se si continuerà a cercare di capire cosa è successo quel giorno a Mattia. O se, invece, dovrà rassegnarsi a non avere risposte.

Proprio per tenere viva l’attenzione su questa vicenda, la famiglia ha scritto oggi una lettera che è un distillato purissimo di amore, dolore e speranza.

Con una compostezza non comune e affatto scontata quando a parlare sono cuori che hanno perso un pezzo senza sapere perché, che sanno che nulla potrà riportare in vita chi amano ma chiedono solo di sapere, di avere la possibilità di trasformare finalmente quella ferita ancora aperta in cicatrice.

La riportiamo sotto, integralmente, perché vale la pena leggerla senza che qualcuno la commenti con riflessioni superflue.

Dopo aver ricevuto la missiva, abbiamo però contattato una delle due sorelle di Mattia, Elisa, che ci ha raccontato di come il tempo non si sia fermato alle 16.59 del 7 dicembre 2018 e di come “Matti” abbia lasciato dietro di sé infiniti semi che lei, sua sorella Chiara e i loro genitori stanno facendo germogliare non semplicemente in suo ricordo, ma con la sua energia vitale. Perché si è famiglia anche oltre la morte e in una famiglia ci si aiuta e dove non riesce ad arrivare uno arriveranno gli altri.

“La nostra testimonianza non vuole essere una critica ma, piuttosto, un supporto per far sì che si continui a cercare la verità. Abbiamo fiducia nella giustizia, siamo assolutamente collaborativi – spiega Elisa Mingarelli – certo, ci sono la rabbia e la sofferenza ma poi c’è anche la parte vitale che ci ha lasciato Mattia e che ci aiuta ad andare avanti”.

E andare avanti, per loro, significa lavorare per realizzare i sogni che Mattia aveva lasciato appena abbozzati, prima di perdere la vita in quel bosco: “Mio fratello aveva un sogno: produrre il miglior spumante della Sicilia – racconta – e poco prima di morire aveva trovato un terreno su cui piantare il suo vigneto. Sapevamo cosa voleva fare e così abbiamo realizzato noi il suo sogno: abbiamo aperto un’associazione, La vigna di Mattia, abbiamo piantato le viti esattamente dove voleva farlo lui e quest’anno abbiamo fatto la prima vendemmia. Se tutto andrà bene dovremmo riuscire a produrre le prime bottiglie per la fine dell’anno prossimo”.

LA VIGNA IN SICILIA -GALLERY SFOGLIA

E a breve un altro sogno di Mattia vedrà la luce: “Mio fratello amava il basket e i viaggi, la sua ultima vacanza era stata in Madagascar – spiega – ci aveva raccontato che lì aveva giocato con alcuni bambini e avrebbe voluto regalare loro un vero campo da pallacanestro. Così abbiamo dato vita a una raccolta fondi e a quel campo tra poco sarà finalmente realtà”.

Elisa Mingarelli

 

E perché l’immensa capacità di questa famiglia di trasformare la morte in vita diventi un dono per gli altri, ecco un ultimo progetto rivolto a chi come loro si sta battendo per avere giustizia: “Stiamo sviluppando alcuni progetti con l’associazione Rete Dafne che si occupa di supporto e sostegno alle vittime di reato – conclude Elisa – tre su quattro di noi sono psicologi e vogliamo aiutare, con le nostre competenze e la nostra esperienza, chi si trova in situazioni come la nostra”.

Il campo da basket in Madagascar

 

Perché nell’attesa di sapere se le indagini sulla sua morte riprenderanno, il cuore di Mattia Mingarelli batte più forte che mai.

LA LETTERA

7 dicembre 2018 ore 16.59
Vorremmo condividere i nostri pensieri ed emozioni come famiglia: mamma papà e sorelle di Mattia.

Sono passati quasi due anni dal 7 dicembre 2018 in alta Valmalenco (Località Barchi) con le luci del tramonto, data ed orario nella quale nel tardo pomeriggio nostro figlio e fratello è scomparso e morto. Trovato per caso da dei passanti dopo 17 giorni di estenuanti ricerche a tappeto della Protezione Civile e altri, elicotteri, sommozzatori, cani molecolari, noi e gli amici di Mattia…senza esito, malgrado per varie volte siano passati vicini al luogo del ritrovamento.

L’alta Valchiavenna sopra Sondrio è fin dall’antichità famosa per essere un luogo di confine con esperti contrabbandieri e ancora oggi bracconieri abili a nascondere, luogo che ancora nasconde la verità che cerchiamo. Ma la verità probabilmente sta nella gente del luogo più che in esso stesso.

Per noi vittime come Mattia il passare del tempo senza risposte e spiegazioni è un tempo “impossibile”, un tempo che non facilita le nostre esistenze e che contribuisce a tenere aperta la ferita ed il dolore.

Ci siamo affidati alla Giustizia, sempre con collaborazione attiva e discrezione, non ci sembra possibile che non si riesca a raggiungere una spiegazione realistica e soddisfacente dei fatti, facendo ricorso ad ogni possibile mezzo di indagine; ci aspettiamo che ogni sforzo praticabile venga fatto, che nulla sia lasciato intentato.

Ci sembra un tempo ingiusto, 2 lunghi anni, un tempo che rischia di far dimenticare un accaduto atroce al di fuori dell’umanità, ma che ancora ci mantiene in un atteggiamento di collaborazione e fiducia con la giustizia, se la Giustizia vuole, come deve, essere perseverante.

Crediamo importate rivolgerci alla Giustizia per poter avere spiegazioni di quello che è accaduto quel tardo pomeriggio sia per noi che per altri che potrebbero trovarsi in situazioni simili in futuro.

Il 7 di dicembre di quasi 2 anni fa abbiamo perso le tracce di Mattia, un uomo amorevole, concreto sorridente e pacifico, era andato in montagna, nella casa che noi conoscevamo da anni, per preparare le festività natalizie, con l’intento di tornare a casa il giorno successivo. Era in compagnia unicamente di Dante, il nostro cane affettuoso e gentile.

Alle sue non risposte continue alle chiamate telefoniche ci siamo allarmati, il telefono lo portava sempre vicino e rispondeva prontamente, o richiamava appena non impegnato nel lavoro, il telefono è stato trovato il giorno successivo alla scomparsa di Mattia presso il rifugio “Ai Barchi”.

Il giorno successivo eravamo anche noi ai Barchi, abbiamo iniziato a cercarlo, nella neve nelle case nel freddo con il supporto lodevole del soccorso alpino…ma le nostre ricerche lunghe e faticose soprattutto per il cuore, non hanno portato a nulla…il vuoto… il silenzio della morte certa dopo 17 infiniti giorni.

Era il 24 di dicembre, vigilia di Natale, all’imbrunire quando il corpo di Mattia è stato trovato steso nel bosco senza vita…quel luogo così battuto nelle ricerche, quel corpo composto e bello.

Non crediamo sia possibile per un giovane uomo abituato alla montagna fin da piccolo, oltre che scialpinista, e così prudente addentrarsi in un bosco a lui sconosciuto e nel buio se non in una situazione di grave pericolo.

Condividiamo un quadro amato da Mattia di Monet, suo artista preferito con l’augurio che guardando la stessa bellezza si possa trovare la stessa verità, che non cambierà la presenza di Mattia su questa terra, ma contribuirà in parte a riparare i nostri sentimenti cosicché le ferite possano diventare cicatrici.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Un commento

  1. Carissimi vi sono sempre vicino in questa spasmodica e più che giustificata attesa di verità, in nome della nostra lunga amicizia partita decine di anni addietro con la conoscenza degli indimenticabili Gualtiero e Mariella. Spero che la mia condivisione serva a lenire, anche se in piccolissima parte, la vostra sofferenza e sete di verità. Un forte abbraccio.
    Beppe

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