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Quando gli asili nido di Como erano l’esempio d’Italia. “La ricetta ‘magica’. I privati? Ragionano per il profitto”

C’è stato un momento, nella storia degli asili nido cittadini, nel quale non solo erano il fiore all’occhiello dell’amministrazione, ma il “modello Como” rappresentava un riferimento a cui ispirarsi a livello nazionale. E c’è stato un momento nel quale, davanti alla domanda – lecitissima – se fosse economicamente sostenibile tenere aperti ben undici asili, la risposta non è stata chiuderne qualcuno ma lavorare tutti insieme per capire come offrire un servizio migliore che costasse anche meno, aprendo addirittura spazi nuovi. In quello stesso periodo, poi, c’è stato chi ha studiato il numero dei bambini che non andavano all’asilo, i quartieri e le abitudini delle famiglie non per dire che già che ci sono zone senza asili, allora significa che si può benissimo sopravvivere senza, ma per inventarsi l’apertura di uno spazio gioco dove mancava coinvolgendo, letteralmente, l’intera comunità.

A raccontare questa ‘età dell’oro’ degli asili comaschi, è uno dei suoi protagonisti, lo psicologo e psicoterapeuta Luigi Castelli che, con l’allora dirigente dei Servizi Sociali Rocco Belmonte, fu il motore di quella che fu una vera e propria rivoluzione i cui effetti positivi sono arrivati fino a oggi.

Dottor Castelli, di che anni stiamo parlando e in che situazione erano allora gli asili nido?
Era l’inizio degli anni Novanta e io lavoravo per il Comune di Como come coordinatore del servizio degli asili nido insieme a Rocco Belmonte, che si occupava della parte amministrativa. Gestivamo circa centocinquanta operatori e offrivamo il servizio a circa cinquecento bambini suddivisi in undici strutture e, esattamente come oggi, la domanda che ci si faceva era, naturalmente, come affrontare il notevole peso sulle casse comunali del costo di un servizio di questo genere.

E che soluzione avete trovato?
In realtà è stato quasi un uovo di Colombo, una leva strategica all’apparenza banale ma davvero “magica” che ancora oggi che faccio consulenza per aziende private utilizziamo con risultati sorprendenti ma che allora, soprattutto in un ente pubblico, era quasi impensabile: abbiamo messo in campo una formazione permanente degli operatori a tutti i livelli, anche con incontri con specialisti, e abbiamo valorizzato l’esperienza e le competenze di ciascuno motivando tutti in un percorso condiviso. E poi abbiamo ascoltato le proposte e le esigenze di chi lavorava negli asili nido, ma anche delle famiglie dei quartieri, per capire come migliorare il servizio.

E il risultato quale è stato?
Ne è nato una sorta di laboratorio condiviso a costo praticamente zero per l’amministrazione, grazie al quale siamo riusciti ad elaborare un nuovo modello organizzativo con, ad esempio, moduli orari più adatti alle famiglie. Abbiamo inoltre attuato una razionalizzazione delle risorse che ci ha permesso di offrire un servizio decisamente migliore e più rispondente alle esigenze della comunità. Era stato pubblicato anche un libretto promosso dal Sorptimist, un ABC che raccoglieva tutte le parole chiave al centro del nostro lavoro come “Qualità”, “Relazione” e “Territorio”.

E dal punto di vista del risparmio economico, che risultati avete raggiunto?
Grazie al nuovo modello organizzativo siamo riusciti a valorizzare meglio le risorse mantenendo aperte tutte le strutture esistenti, riuscendo a non rimpiazzare chi andava in pensione e favorendo la mobilità interna. Il risultato è stato non solo un notevole miglioramento dell’offerta, ma anche una spesa minore. E il risultato era stato così significativo da valerci l’invito al Convegno Nazionale degli Asili Nido proprio per raccontare il “Modello Como”. Sembrano cose che si leggono solo sui manuali, invece se si vuole si possono realizzare.

Oltre a mantenere e migliorare gli asili esistenti, però, avete addirittura aperto nuovi spazi.
Il secondo passaggio è stato quello di analizzare i bisogni inespressi delle famiglie attraverso un’analisi di quello che avveniva in città nella fascia 0-3 anni. Così facendo ci siamo accorti che molti bambini non frequentavano il nido e non avevano, quindi, molte possibilità di interagire con i coetanei e con contesti al di fuori della famiglia. Così si è pensato che fosse importante offrire anche alle famiglie che, per diverse ragioni, potevano fare a meno del nido, un’occasione per offrire stimoli adatti ai loro bambini creando, nel contempo, anche un luogo di incontro e aggregazione per genitori e nonni che li avrebbero accompagnati. Così, nel quartiere di Lora, uno di quelli in cui questa situazione era più evidente, abbiamo individuato un’ala inutilizzata dell’asilo e abbiamo aperto il primo Spazio Gioco della provincia coinvolgendo ad aiutarci la circoscrizione, gli anziani, le signore che ci hanno confezionato le tende, i negozianti e tutte le realtà del quartiere, con un forte senso di comunità.

Alla luce di questa esperienza, come vede la scelta dell’attuale amministrazione di far quadrare i conti chiudendo due asili (il Magnolia di via Passeri e il Coccinella di Monte Olimpino Ndr)?
Oggi la società è cambiata rispetto agli anni Novanta, è molto più ricca e complessa, con bisogni nuovi che allora non avevamo, ma proprio per questo è necessaria una visione più ampia e un approccio più complesso al problema. Perché gestire la complessità non significa semplicemente far quadrare i conti ed è sbagliato pensare di ridurre un servizio fondamentale come gli asili a un semplice parametro di risparmio economico. Ogni amministrazione, naturalmente, può scegliere che linea seguire, ma uno dei temi da tenere a mente, secondo me, è la logica di servizio, cioè la capacità che deve avere un’amministrazione pubblica di intercettare i bisogni e i desideri della città per poi tradurli in soluzioni. La domanda, quindi, è se il Comune di Como intenda perseguire o no questa logica che, nel caso dei nidi, significa investire sulle nuove generazioni e sui quartieri avendo il controllo diretto di quello che serve alla città.

La risposta del Comune è che, dove non arriveranno i nidi a gestione diretta, arriveranno quelli dati in gestione a terzi o quelli privati in convenzione. Cosa ne pensa?
Il privato ragiona con la logica del profitto e, in un appalto, lavorando anche al ribasso mentre una pubblica amministrazione con la logica dei servizi. Per questo credo che il Comune non debba limitarsi a un ruolo di controllo di quello che fanno altri nell’erogazione di servizi importanti come i nidi, perché questo significherebbe perdere non solo il polso della qualità, ma anche il contatto diretto con i bisogni dei cittadini. Erogare servizi rappresenta, per un ente, la sua presenza sul territorio, il rapporto con la città che si amministra e non è una cosa delegabile.

Quale sarebbe quindi, secondo lei, la strada migliore da percorrere?
Ragionare solo in termini di efficienza economica dà una visione parziale del problema. Non è retorica, ma per governare la complessità servono ascolto dei bisogni, interlocuzione e valorizzazione di tutte quelle persone che possono mettere a disposizione competenze e professionalità. Lavorare per un ente significa lavorare per la propria comunità e questa è una leva che va coltivata, ma mi pare che il Comune oggi non stia andando in questa direzione.

Amministrare, però, significa anche prendere talvolta decisioni “scomode”.
Ovviamente amministrare significa anche porre dei vincoli, bisogna essere realisti. Ma non si può trattare un tema come quello degli asili con un atteggiamento tayloristico di inizio Novecento. Per usare una metafora calzante con il tema asili, in questo momento chi amministra la città si sta ponendo nei confronti delle famiglie e degli operatori dei nidi come un papà che ti dice cosa devi fare e non ammette discussioni. Ma questo non è un atteggiamento che, alla lunga, funziona. Un papà non dà ordini, ma ascolta i tuoi bisogni, ti accompagna, c’è quando hai bisogno e crea le condizioni perché tu cresca nella direzione giusta responsabilmente. Ed è esattamente questo che dovrebbe fare anche un buon amministratore.

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7 Commenti

  1. A sciur Mario, il dr Castelli ha semplicemente parlato per cognizione di competenza diretta e se ha messo il dito sulla privatizzazione dei nidi lo ha fatto non per offendere ma semplicemente perché la realtà del privato è solo ed esclusivamente per i dane’ ( a parte qualche nido privato che effettivamente lo fa solo ed esclusivamente per far sentire sia la famiglia e maggiormente il piccolo coccolato nel suo cammino) perciò non abbia la coda di paglia. La saluto amichevolmente mi stia bene. Gianfranco

  2. Complimenti dottor Castelli per il suo parere espresso con pacatezza e intelligenza e competenza. Condivido tutto il suo pensiero ricordando bene la pubblicazione dell’utile ABC dell’Asilo nido, scritto da lei con sapienza e dedizione quando ero presidente per il cinquantesimo anno del Soroptimist. Ho conseguito il titolo di Consigliere di orientamento scolastico e professionale, Consigliere Psicopedagogico, Psicomotricista, alla Cattolica di Milano prima che sorgesse la facoltà di Psicologia a Padova. Mi sono occupata di infanzia e adolescenza lavorando al Centro di Psicologia applicata, diretto dalla prof. Anna Riva. Anni di costruzione e di ricerca hanno portato alla qualità di piccoli nidi (il nido è piccolo, avvolgente) ed ora spero che il Sindaco ritorni sulle sue decisioni.
    Non è possibile che tanto lavoro che aveva spianato la strada alle madri ora venga disconosciuto. Sono sicura che il Sindaco ci ripenserà e andrà incontro ai bisogni delle mamme e dei bambini.

  3. Leggiamo bene questa intervista, soprattutto le risposte che, al di là della pura questione nidi, sono una lezione di Amministrazione pubblica e del suo significato.

  4. Dr. Castelli, mi piacerebbe invitarla alla scuola materna privata di Rebbio, altro che profitto !! Il Presidente e tutti noi consiglieri, a titolo, gratuito per portare avanti una realtà che quest’anno compie 110 anni, non dormiamo la notte. Consigli d’amministrazione dopo giornate di lavoro, che vanno sempre oltre la mezzanotte per cercare soluzioni ad ogni problema. Numeri alla mano dicono che nel 2014 c’era la colonna dei genitori alle sette del mattino quando si aprivano le iscrizioni. 120 bambini inscritti e scuola a pieno regime. Oggi siamo un po meno della metà. Continuare a negare che in dieci anni c’è stato uno spaventoso calo demografico vuol dire far finta di non vedere….

    1. La risposta se l’è già data. Un calo demografico in un paese come il nostro che ha i più BASSI STIPENDI IN EUROPA e con politiche che vedono i lavoratori come i nuovi schiavi con stipendi da fame, veniamo addirittura dopo la Grecia, e che vede la NECESSITÀ che entrambi i genitori lavorino per tirare a fine mese, non per comprarsi la Ferrari o la Porsche, la maternità che è vista dai datori di lavoro come un cancro, questo porta anche gli asili privati, che sicuramente non hanno rette basse, a dover far quadrare i conti con la mancanza di iscrizioni necessarie per mantenere delle rette sufficientemente sostenibili per le famiglie. I privati hanno azionisti che vogliono guadagnare ogni anno sempre più del precedente. Inoltre non capisco perché, se sei privato, devi avere finanziamenti con fondi statali, regionali e comunali.

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