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Quella fonte custodita nei boschi di Como e il raggio di sole che la sfiora a ogni Solstizio d’inverno: 200 persone per un rito antichissimo e carico di mistero

Un rito antico che si rinnova ogni anno, carico di storia, di fascino e mistero e indubbiamente di spiritualità. Anche oggi, 21 di dicembre cioè solstizio di inverno, il GACom (Gruppo Archeologico Comasco) si è radunato davanti alla Fonte della Mojenca nel Parco della Spina Verde, presenti duecento persone. La fonte si trova indicativamente sotto la Baita Monte Croce e sopra il quartiere di prestino. Qui, per capire:

Comunque basta consultare l’ottima mappa fornita gratuitamente dall’Ente parco della Spina Verde per arrivarci senza difficoltà

Perché? Perché poco prima del tramonto, come ogni solstizio, i raggi del sole attraversano la valle ed entrano per alcuni istanti all’interno della galleria. Tra le molte ipotesi avanzate qualcuno ritiene che i costruttori volessero celebrare il culto delle acque. La fonte, di origine protostorica, era stata realizzata per canalizzare le sorgenti d’acqua della zona (che si trovavano più a monte).

Spiegano sul sito del GACom:

La struttura fu probabilmente realizzata in più fasi. Inizialmente venne creato un alveo, principalmente ricavato direttamente nella roccia arenaria di base; durante tale fase, databile in generale all’epoca protostorica, la fronte esterna della fonte appariva così di forma trilobata. Successivamente iniziò la vera e propria monumentalizzazione del sito: l’alveo venne arginato mediante la posa di grandi pietre di diversa natura (granito, serizzo, micascisto, arenarie, ciottoli di rincalzo), disposte lateralmente. Da ultimo furono poste in alto grandi lastre orizzontali a copertura del canale che assunse così, dopo l’interro, l’aspetto di una galleria. Questa, larga circa 1,30 med alta 1,50 mall’ingresso, si restringe verso l’interno, fino ad una larghezza di circa 60 cm ed un’altezza di 30 cm, inoltrandosi per circa 16-18 metri. Allo stato attuale, la copertura si trova a circa 2 mal di sotto del piano di calpestio del sentiero soprastante, nel punto di massimo dislivello. Sulla parete di fondo è posto un grosso masso, dai cui lati filtra l’acqua, al di là del quale il cunicolo prosegue ancora per alcuni metri.

Attualmente la parte più interna risulta impraticabile a causa del crollo di una delle due pareti laterali che ne ha così ristretto il passaggio, un tempo percorribile, con le dovute conoscenze di speleologia.

Tra la fonte principale e la sorgente minore vi sono i resti di una struttura di granito, che forse costituiva una sorta di sbarramento tra le stesse. Tali resti potrebbero però anche essere i frammenti della struttura di raccolta delle acque che doveva trovarsi allo sbocco della galleria.

Il nome sembra possa derivare dal celtico muit o moier oppure dal dialetto lombardo moia, vale a dire “luogo intriso d’acqua” o “pantano”; esiste però anche il termine greco moion (vaso, recipiente per liquidi) e il latino mollio (rendere molle). In ogni caso non vi è dubbio che la radice del nome si riferisca ad un luogo umido, come evidenziato anche nelle lingue moderne: “moist”, umido in inglese, “moho”, umidità, e “mojar”, bagnare in spagnolo, “moyère”, canneto in francese. Per approfondire l’aspetto linguistico etimologico è possibile consultare l’articolo di Stefano Alivernini “Cercando il significato di un termine: Mojenca“.

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