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Il saluto di Roberta ‘Zia Roby’ Marzorati, amatissima pediatra: “Grazie per 40 anni di emozioni”

Dopo quarant’anni di lavoro fatto di innegabile competenza, ma soprattutto di sorrisi e attenzioni niente affatto scontate per i suoi piccoli pazienti e le loro famiglie, venerdì 1° marzo andrà in pensione l’amatissima pediatra comasca Roberta Marzorati, la “zia Roby” come tanti la chiamano con affetto proprio come si fa con qualcuno di famiglia.

“Zia Roby” è un soprannome che racchiude un meraviglioso mondo di confidenza e affetto abbastanza insoliti nel rapporto con un medico. Da dove è nato?
È nato all’inizio del mio lavoro, quando una mamma per tranquillizzare il suo bambino gli ha detto che non doveva avere paura perché ero la zia Roby. Da lì in tanti hanno iniziato a chiamarmi così e penso che racchiuda il pensiero di fondo che ha guidato sempre il mio lavoro in questi anni: mettere a proprio agio sia i bambini che i loro genitori, creare un’atmosfera serena in cui i piccoli, magari restando in braccio alla mamma, si facessero visitare con più tranquillità magari canticchiando la “canzone del topino” che mi ero inventata per poter visitare loro le orecchie facendoli ridere tanto che molti me la chiedevano a ogni visita e, crescendo, è diventata un ricordo talmente piacevole da dare il nome a un gruppo Facebook creato da alcuni miei pazienti, ormai grandi, per ritrovarsi dopo tanti anni.

Al di là delle sue indiscusse capacità professionali, quello che tutti i suoi pazienti le riconoscono è l’essere sempre riuscita a guardare oltre l’aspetto medico per vedere la persona. È esatto?
È vero che noi come medici non dovremmo lasciarci coinvolgere emotivamente dalle storie e dalle patologie dei nostri pazienti, ma io non ne sono mai stata capace e sono contenta di non averlo fatto. Secondo me il nostro compito è quello di camminare insieme ai bambini e ai loro genitori condividendone le preoccupazioni ma anche le gioie, cercando di essere sempre positivi anche nella malattia e, soprattutto, guardando oltre il semplice dato clinico per vedere tutto il contesto, perché la salute di un bambino è strettamente legata al loro stare bene nella vita. Per questo sono sempre stata felice quando un genitore mi chiedeva l’amicizia su Facebook, perché voleva dire che si era creato un rapporto di vicinanza che mi dava modo di conoscere meglio anche i bambini, dove vivevano, anche solo banalmente se potevo chiedere se sarebbero andati in vacanza oppure no.

Lei ha visto passare dal suo studio, letteralmente, due generazioni di comaschi. Come sono cambiati i bambini, e i loro genitori in questi decenni?
Oggi curo i figli dei miei piccoli pazienti di allora e i genitori sono diventati nonni. Ho visto passare tantissime persone dal mio studio ma penso che ciascuno sia genitore secondo le proprie capacità, ma quello che non è mai cambiato è l’amore che genitori hanno per i figli. Quello che sicuramente oggi è diverso è il fatto di avere a disposizione fin da piccoli delle tecnologie che fino a pochi anni fa neanche esistevano e che non è possibile ignorare. Su questo ho sempre incoraggiato i genitori a essere propositivi, a non delegare a canzoncine e video il loro ruolo perché il rischio è che i bambini diventino ricettori passivi di stimoli senza sviluppare la loro fantasia.

Tra pochi giorni chiuderà per l’ultima volta la porta del suo studio. C’è un pensiero che vuole lasciare ai suoi pazienti e ai loro genitori?
Ai miei bambini e alle loro famiglie vorrei solo dire che ho voluto bene a tutti, e mi sono sentita amata da tutti. E quello che dico a tutti quelli che incontro in questi giorni è di ricordarsi di me anche quando sarò in pensione e, magari, di mandarmi un messaggio per invitarmi a fare merenda perché vorrò dire che ci siamo voluti bene davvero.

E c’è un consiglio che vorrebbe dare a chi, da giovane pediatra di base, si affaccia per la prima volta a questa professione?
Vorrei dire loro di essere sempre sorridenti e affettuosi, di diventare il più possibile famiglia per i bambini e i loro genitori perché non c’è niente di peggio per un bambino di un genitore in ansia.

Cosa farà dal 1° marzo?
Non mi occuperò più di pediatria, questo è sicuro, perché penso che sia giusto uscire di scena quando si hanno ancora la forza e la passione per fare bene il proprio lavoro. Probabilmente mi dedicherò a coltivare un sogno nel cassetto che aspetta da un po’ di tempo: scrivere un romanzo che raccolga, pur con tutto il necessario rispetto per la privacy dei miei bambini, tutte le esperienze e le storie che ho vissuto in questi quarant’anni. Mi piacerebbe poterle tradurre in una storia che possa essere di insegnamento ad altri e forse ora è arrivato il momento giusto per farlo.

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6 Commenti

  1. Io ti ho conosciuta come pediatra per la prima volta pochi giorni prima del lockdown e pochii giorni dopo la nascita di mia figlia. Avevamo contratto il covid in ospedale dopo il parto, era il momento in cui morivano tantissime persone e dilagava il panico. Tu non eri ancora formalmente la mia pediatra, ma mia hai aiutata e tranquillizzata. E da allora mi sono sempre sentita accolta e capita e mi hai insegnato a essere genitore. Ti sei presa cura della mia bambina col sorriso e la competenza e Anita ti ha adorato. Grazie. La merenda la faremo di sicuro.

  2. Una professionista esperta, una donna fuori dal comune. Grazie zia Roby, averti incontrato è stato un vero privilegio.
    Tutto il nostro affetto e la nostra gratitudine.

  3. Un’esperienza splendida averla incontrata sulla mia strada, uno di quelli “inciampi” della vita che fanno crescere. Oltre ad essere stata la zia Roby per i miei figli, è stata la sorella Roby per noi genitori, ci ha trasmesso serenitá anche nei momenti impegnativi di crescita .
    La pediatria della cittá perde un pilastro di passione e dedizione.
    Grazie Roberta.

  4. Una meravigliosa persona dotata, oltre che a una grandissima competenza e professionalità, di una straordinaria umanità che traspare in tutta la sua essenza in questa bellissima intervista.

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