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Roberto Armaroli, uno chef comasco a Odessa: “La cucina italiana nel bunker, ci salva dalla paura di morire sotto le bombe di Putin”

L’ultima volta che ci siamo sentiti al telefono per un’intervista era il 2014, Roberto, Roby per gli amici, aveva aperto da qualche anno un ristorante a Sebastopoli. Nella primavera di dieci anni fa era però appena scattata l’invasione russa in Crimea. Avevamo parlato di quel conflitto e, a margine anche della sua attività che non conosceva crisi.

Con Roberto Armaroli in realtà ci conosciamo dalla fine degli anni Ottanta, per questioni di pallavolo, sponda Briantea. Cresciuto a Lipomo, ma di origini bolognesi. Origini che gli hanno sempre dato una facilità di creare rapporti e relazioni, da giovanissimo Roberto ha gestito un bel negozio di abbigliamento sulla Statale per Lecco. Poi ancora diversi anni tessile, stilista, creativo, buyer, con realtà importanti anche del territorio e nel tempo libero la collaborazione, come pierre, con le maggiori discoteche, dal Modà al Charlie. Infine il cambiamento a 360° verso il mondo del food. Un atterraggio morbido ad ogni modo, per Roberto, perché la cucina è sempre stata la passione e la professione della famiglia. Eccolo così ai fornelli e a impiattare raffinate composizioni, non sul Lago di Como o nell’Emilia però, bensì sempre all’estero. Chef da esportazione nell’Est d’Europa. In Crimea, già nel primo locale si era portato il libro di ricette della nonna. Chef Roberto è subito diventato un personaggio di successo, se lo sono contesi i migliori locali. Poi inizia ad aprire un proprio ristorante, ma nel frattempo la situazione geopolitica del luogo muta. Sarà forse il destino del cognome, ma Armaroli, negli ultimi dieci anni ha lavorato sempre da zone di guerra in Ucraina. Da Sebastopoli, come detto, a Odessa, dove vive e lavora ancora oggi. L’altro giorno ha compiuto sessant’anni tondi, ma i missili continuano a passargli sopra la testa, ogni giorno.

Non è ora di tornare in Italia, Roberto? Beh intanto auguri.
Dopo Pasqua starò a Como un mese – risponde dal suo ristorante L’Antica Cantina – ma non posso lasciare adesso la mia attività. Mi sono reso conto di avere anche una funzione sociale con la popolazione di qui. I miei clienti, quando entrano nel mio locale sanno che possono stare tranquilli. Lo sai anche perché vero? Ho aperto l’ultimo ristorante in pratica in un antico bunker, otto metri sotto il livello della strada. Dalla cucina c’è anche un passaggio per le catacombe, da lì si scende ancora più sotto. Qui siamo davvero al sicuro.

Da quando sei a Odessa?
Abbiamo aperto il primo ristorante nel 2021, il secondo l’anno successivo. Adesso tengo l’attività solo nell’Antica Cantina. Facciamo un tipo di cucina per un clientela di fascia molto alta e con un locale unico posso lavorare meglio con i frequentatori affezionati, anche in questa drammatica situazione.

Quindi non rientrerai in Italia per restare.
Al momento no, lo farò un po’ più avanti, quando mi potrò riposare. Due anni di guerra sono davvero tanti. Vivi ogni secondo della tua esistenza con la tensione di essere sotto tiro. Ho già avuto troppi amici morti per via del conflitto – Roberto si ferma un attimo per la commozione – ma non si vede ancora la fine. E poi non hai idea di quanto sia pesante anche la propaganda filo Putin. Si deve stare attenti, perché anche in Italia e in Occidente arrivano messaggi falsi e sbagliati, trasmessi dalla regia di questo folle. Putin manda avanti le sue truppe come nel tritacarne, vuole ricreare l’Unione sovietica e la fortuna dell’Europa è che il popolo ucraino si sta sacrificando per fermare la voglia di espansione della Russia. Putin vorrebbe prendersi la Polonia e l’Ungheria. Non si fermerà. Se l’Occidente non aiuta l’Ucraina, si troverà Putin in casa, basta ascoltare i suoi discorsi, sono pensieri di uno che non si arresta davanti a nulla.

Cosa dovrebbe fare l’Occidente che non fa.
Mandare armi, mandare armi e munizioni, perché all’esercito ucraino iniziano a mancare. Non hanno fuoco. Anche l’attenzione sul conflitto si è pericolosamente affievolita in occidente. Si inizia a non parlarne più, o comunque a parlare meno di questa guerra, mentre qui si continua a morire ogni giorno.

Che differenza c’è dalla guerra di Crimea che vivevi a Sebastopoli dieci anni fa al conflitto in russo-ucraino?
In Crimea non ho avuto mai paura di morire, qui da due anni convivo invece con questo pensiero. Mi sveglio a ogni ora della notte. Il clima di un Paese sotto attacco, invaso, non è facile da spiegare. La tua testa è sempre attiva, sa che stai passando un pericolo. Per questo cerco di mettere tutto me stesso nel lavoro, per i miei collaboratori, i miei clienti. C’è voglia di sopravvivere e di assaporare ancora momenti di serenità, come mettersi al tavolo di un buon ristorante e gustarsi un piatto della cucina italiana.

Fai ancora qualche ricetta dal librone della nonna?
I piatti popolari, di pancia, della tradizione italiana e della mia famiglia, tramandati da generazioni sono e restano il mio modo di vedere e vivere la cucina. Anche da chef, credo che il metodo migliore per dare soddisfazione a chi si siede a tavola, sia di realizzare piatti facili e che possano essere apprezzati e capiti anche qui a Odessa, sotto le bombe.

L’ARTICOLO CHE HAI APPENA LETTO E’ USCITO SU COMOZERO SETTIMANALE: ECCO DOVE PUOI TROVARLO

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