“Lasciaci soli – disse mio padre mentre puntava il fucile contro un uomo – io e questo signore dobbiamo parlare. Poi si rivolse all’uomo dicendogli che aveva due colpi in canna e doveva scegliere se ne voleva uno o entrambi. Ero solo un bambino, non capivo cosa stesse accadendo. Solo molti anni dopo mio padre mi rivelò chi, quell’uomo, fosse: Renato Vallanzasca”.
(Fotoservizio: Carlo Pozzoni, archivio Netweek)
Un ricordo d’infanzia indelebile quello di Pietro Maffolini, cinquantottenne di Schignano, figlio di quel Bortolo noto in paese come Cavicchi in virtù della somiglianza con il famoso pugile.
“Era un uomo tutto d’un pezzo, mio padre – ricorda Pietro con orgoglio – 140 chili di carattere temprato che celavano un cuore grande e generoso”.
Bortolo Maffolini, classe 1924, nel 1969 apre, insieme alla moglie Giulia, la discoteca “La ruota” a Schignano.
Pietro, all’epoca poco più che un bambino, aiutava i genitori nella gestione.
“Eravamo uno dei pochi locali per giovani nella zona – racconta – abbiamo ospitato tante serate live con band locali e visto l’avvento dei primi disc-jockey. Come accade spesso, ogni tanto c’era chi esagerava ma mio padre sapeva come metterli al proprio posto”.
Nei primi anni ‘70, spicca un nome noto alla cronaca.
“Renato Vallanzasca si presentò da mio padre, non so cosa si dissero – ricorda – ma papà gli rispose di attenderlo. Poi mi guardò dritto negli occhi intimandomi di portargli il fucile da caccia con le cartucce. E io obbedii”.
Vallanzasca: fondatore della Banda della Comasina autrice di numerosi sequestri, rapine, traffico d’armi e altri crimini negli ‘70 e ‘80.
“Quando uscirono dalla stanza – continua Pietro – si strinsero la mano e l’uomo se ne andò. Dopo quello strano incontro lo vidi poche volte, non diede più fastidio. Poi scomparve”.
Il primo dei numerosi arresti del famoso criminale avviene, infatti, nel 1972 per opera della squadra mobile di Milano. Attualmente recluso nel carcere di Bollate, è stato condannato a quattro ergastoli e 296 anni per sette omicidi e numerosi altri reati.
La sua figura colpì l’immaginario collettivo per le evasioni rocambolesche e per il successo con le donne.
“Era un gran bel ragazzo – ricorda Pietro – occhi chiari, ben vestito, modi eleganti. Spiccava. Le donne lo trovavano irresistibile, tante gli ronzavano attorno”.
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Nel 1981 Bortolo muore e nel 1985 Pietro chiude l’attività.
“Mio padre era un uomo generoso – continua – i ragazzi ubriachi li lasciava nel locale per non farli guidare e aiutava, come poteva, i giovani che avevano preso una cattiva strada. La chiusura del locale è stata la fine di un’epoca – conclude – che vedeva le persone riunirsi in un’unica grande compagnia. Un’idea ben lontana dalla distanza tra individui di oggi”.
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