Centinaia di mail e richieste di chiarimenti stanno letteralmente piombando negli uffici dei sindacati italiani e sull’Ocst, l’organizzazione sindacale più rappresentativa del Canton Ticino con oltre 40mila associati. Tema, ovviamente, il mancato rinnovo dell’accordo amichevole tra Italia e Svizzera sullo smart workging per i frontalieri, con tutte le conseguenze del caso (tutti gli approfondimenti).
Un argomento molto delicato perché va sottolineato come – anche dopo la fine dell’emergenza Covid motivo per cui si stabilì sostanzialmente di equiparare i giorni lavorati da casa a quelli svolti nelle sedi fisiche delle aziende – sono ancora “più di 20mila i frontalieri che fanno ricorso al telelavoro come nel periodo di emergenza”, spiegano dall’Ocst. Ma cosa ci si potrà attendere ora?
A intervenire è Andrea Puglia, responsabile ufficio frontalieri Ocst. “L’unica soluzione al problema è siglare un altro accordo che preveda nuove regole, adeguate alla realtà attuale e uguali per tutti. E soprattutto che arrivino a prevedere una percentuale di telelavoro che non sia il vecchio 25%. Obiettivo potrebbe essere il 40% del tempo”, spiega Puglia che ricorda anche come “proprio il giorno in cui l’Italia comunicava di voler disdire l’accordo da febbraio, la Svizzera siglava con la Francia una nuova intesa per prevedere il 40% di smartworking per i frontalieri. Adesso la situazione è critica e bisogna intervenire. L’Italia si è resa conto di aver fatto la frittata e ora bisogna correre a i ripari”. La speranza è che si possa “arrivare a un nuovo accordo, ripeto unica strada percorribile, magari entro l’estate”, chiude Puglia.
Sul fronte della situazione attuale ecco cosa bisogna sapere: l’inquadramento giuridico del telelavoro effettuato dai frontalieri è un tema molto articolato in quanto genera due livelli di impatto, uno previdenziale (ovvero che riguarda i contributi pensionistici) e uno fiscale (ovvero che riguarda la tassazione del reddito da lavoro).
Impatti previdenziali.
In base al diritto europeo (art. 13 del Reg. CE n. 883/04 e art. 14 del Reg. CE n. 987/09), una persona residente in Italia che sottoscrive un contratto di lavoro in Svizzera può lavorare da casa al massimo per il 24,99% del tempo di lavoro previsto dal contratto stesso. In caso di superamento di questa soglia l’autorità previdenziale italiana (cioè l’INPS) acquisisce la facoltà di richiedere all’azienda svizzera l’incasso del relativo contributo in Italia, il che implicherebbe molta burocrazia oltre a maggiori oneri finanziari. L’Unione Europea ha tuttavia deciso di sospendere questo limite fino al 30 giugno 2023. Dopo quella data verranno pronunciati dei nuovi regolamenti (circa i quali si sa ancora poco o nulla).
Impatti fiscali.
In base poi all’Accordo tra Italia e Svizzera sulla tassazione dei frontalieri del 1974, il frontaliere residente nei Comuni di frontiera, se svolge delle intere giornate di lavoro su suolo italiano, è poi tenuto a dichiarare all’Agenzia delle Entrate la quota di reddito maturata in quegli stessi giorni. Durante la pandemia è stata però sospesa anche questa implicazione grazie ad un Accordo amichevole transitorio stipulato da Italia e Svizzera. Tale Accordo è rimasto valido per oltre due anni. Dal 1° febbraio 2023 i giorni di telelavoro effettuati dai frontalieri tornano pertanto ad essere imponibili fiscalmente in Italia. La speranza – e questa è la nostra richiesta – è che gli Stati sottoscrivano a breve un nuovo Accordo amichevole che conceda ai lavoratori frontalieri una flessibilità maggiore sul telelavoro senza che questo generi impatti particolari di natura fiscale