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Viaggio nei quartieri, Rebbio chiede vita: “Tanti supermercati, troppo poco per i giovani”

Se dici Rebbio parli di un piccolo miracolo che è stato capace di trasformare il quartiere-dormitorio per antonomasia di Como in una comunità vitalissima, unita e propositiva in grado di mettere a segno progetti che altrove sono ancora nel cassetto dei sogni.

Un esempio su tutti, il progetto “La Rebbio che vorrei” nato dalle proposte dei residenti del quartiere e fortemente voluto dalla Cooperativa Sociale Ecofficine in partnership con altre realtà del territorio (l’associazione L’Isola che non c’è e le cooperative sociali Il Seme e Si può fare) e realizzato grazie a un bando Cariplo con la benedizione dell’allora giunta Lucini nel 2017 e, poi, dell’attuale Amministrazione. E così sono nati gli orti sociali di via Ennodio e la riqualificazione del parco Negretti, interventi che parlano del desiderio di migliorare la qualità della vita del quartiere, favorire la mobilità dolce e la socializzazione e valorizzare le risorse ambientali locali.

E il Comune? “Diciamo che ogni tanto qualcuno in Comune si ricorda di sfogliare il libro dei sogni che abbiamo depositato con alcune osservazioni al Piano di Governo del Territorio e qualcosa viene fatto – commenta Marco Ponte, una delle anime di Fiab Como Biciamo ma anche de La Città Possibile e dell’Assemblea di Zona Como Sud – non posso dire che non abbia fatto niente per il quartiere perché alcuni interventi ci sono stati, come la sistemazione delle scuole di via Giussani o il rifacimento del primo tratto di marciapiedi tra via Giussani e via Grilloni, verso il parco giochi, e il relativo parcheggio che rientravano negli interventi legati all’apertura della nuova Coop. Quello che però manca in generale è l’attenzione alle piccole cose, come l’illuminazione di via Ennodio verso il cimitero, che consentirebbe di mettere in sicurezza un percorso pedonale fondamentale per il quartiere, o la sistemazione dei marciapiedi che, paradossalmente, è quasi più importante di quella delle strade, perché un ammortizzatore rotto si aggiusta molto più facilmente del femore di un anziano”.

Nel quartiere, inoltre, si sono susseguite le aperture di nuovi punti vendita della grande distribuzione, dalla Coop al supermercato Aldi fino al progetto di Decathlon, che ne stanno cambiando il volto, non sempre in meglio, come invece è avvenuto a Camerlata dove l’apertura di Esselunga ha coinciso con la realizzazione di una piazza e di un parco giochi che sono diventati il cuore dell’intera zona: “Penso che il Comune non abbia molta voce in capitolo sul tema delle aperture di queste attività che, di per sé, non sono un fatto negativo – dice – quello che può sicuramente fare, però, è dare indicazioni chiare per realizzare opere urbanistiche davvero utili al quartiere e non solo ai nuovi supermercati”.

Quindi largo a strade e rotonde ma con un occhio di riguardo anche per chi quella zona la vive non solo per andare a fare la spesa in macchina: “Quello che serve è anche pensare a favorire la ciclabilità e la pedonabilità di questa zona – sottolinea Ponte – soprattutto a tutela delle fasce più deboli oltre che della qualità della vita, in modo che ci sia un ritorno positivo per tutto il quartiere”. Infine l’aspetto sociale che, in un quartiere popolato come questo, è stato sempre un tema delicato: “Il centro di aggregazione giovanile l’Oasi è ancora chiuso e non ne capisco la ragione – conclude – in un quartiere come il nostro è importante intercettare quei giovani in bilico, diciamo così, che rischiano di perdersi e che basterebbe poco per indirizzare su strade decisamente più positive” (per correttezza di informazione, l’assessore alle Politiche Giovanili Alessandra Bonduri ci ha confrmato che il centro è effettivamente ancora chiuso ma in attesa dell’assegnazione che dovrebbe avvenire a breve

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Un commento

  1. Il reportage sui quartieri di Comozero ha il grande merito di mettere al centro della riflessione uno spazio che – lo dice il giornale – questa amministrazione comunale ha tradito quasi totalmente.
    Abitando a Rebbio, una cosa è del tutto evidente: il Comune c’è stato solo quando non poteva più non esserci.
    Che vuol dire che di suo non ha proposto niente; a proporre è stato sempre e soltanto il quartiere. E quando la proposta, da richiesta di pochi, è diventata una domanda non più ignorabile, il Comune si è mosso.
    È successo con “La Rebbio che vorrei”, è successo con la sistemazione della scuola di via Giussani, con gli orti sociali e con il campo sportivo di via Cuzzi.
    Se tutto questo è vero, allora adesso dovrebbero essere le periferie a trarre le conseguenze e fare il secondo passo.
    Sì, perché nelle periferie non mancano le competenze. Manca solo la consapevolezza politica di riconoscersi realtà capace e vitale, che non merita più di elemosinare attenzione a una classe politica che ha imparato prima ad anestetizzarti con rimandi senza fine e poi a usarti a orologeria.
    Credo che per le comunità di cintura il tempo sia maturo per immaginare di costituirsi in un mivimento politico che metta IL QUARTIERE AL CENTRO.
    Una realtà che vada oltre quell’atteggiamento ossequioso e subalterno che l’ha caratterizzata finora.
    Un movimento che metta al centro dei proprio progetto politico un’attenzione alla persona (sostegno alla marginalità sociale, alle criticità scolastiche, spazi di aggregazione per gli anziani) che veda nel rilancio delle circoscrizioni il proprio spazio di confronto abituale.
    Proprio il questi giorni, la Presidente dell’Ordine degli Architetti Elisabetta Cavalleri ha parlato dell’importanza di avere una visione, un’idea di città, e di andare oltre “la politica delle buche”.
    Ecco, se anche le periferie riuscissero a fare proprio questo principio, allora il cambio di rotta diventerebbe prospettiva concreta e raggiungibile.
    Ripeto, le competenze non mancano; ci vuole solo il coraggio di crederci.

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