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“Zingari, africani con lo smartphone, parassiti, barboni”. Grandate e il prete “posseduto” da Salvini

Calma, calma, calma: non è nemmeno tanto il contenuto del racconto del parroco di Grandate, don Roberto Pandolfi (proveniente da San Giuliano a Como), il centro di questo articolo. Di fronte a un’esperienza personale c’è poco da dire: ognuno vive il contatto con questuanti, accattoni e via dicendo a modo suo. E il sacerdote, come ha raccontato nella sua riflessione pubblicata come di consueto sul sito della parrocchia di Grandate (precisamente qui), evidentemente vive con scetticismo il contatto con chi chiede spiccioli e monete, comunque non negati in alcuni casi. Curioso, forse per un uomo di Chiesa – e soprattutto nella Chiesa comasca del vescovo Oscar Cantoni – ma ognuno legittimamente vive in maniera diversa le richieste della povertà (o finta povertà, come il prete – da sempre scomodo – fa intendere in più passaggi).

Al di là delle umane, forse troppo umane perplessità per quella che il don descrive come una continua, costante lotta con la mano protesta – talvolta in malo modo – verso la tonaca o verso altri passanti, stupisce un filo di più un altro aspetto. Il linguaggio del sacerdote. Il quale, mutuando le coloriture tipiche dell’osteria verace, parla dell’assedio a cui ha eroicamente resistito in numerose vie della città – pur concedendo, benevolo, qualche spicciolo qua e là – con termini da trattoria vera, genuina, autentica. Anche ironica talvolta.

E infatti eccolo raccontare i suoi incontri con i mendicanti di Como – asfissianti tutt’intorno, nel suo testo – come posseduto dalla spirito (o quantomeno dal lessico) di Matteo Salvini. Cosa che, si presume, ne farà un idolo del popolo leghista. Quindi possiamo leggere passaggi come questo, in tipico stile neo-italico-padano: “All’entrata del mercato (…) mi trovo davanti tre baldi giovani africani che ti chiedono l’obolo e nelle pause tra un “cliente” e l’altro telefonano con telefoni fantastici (ma non vorremo vietare loro anche le telefonate…)”.

Oppure il registro in modalità simil sarcastico: “Attraverso i giardinetti di piazza Vittoria, occupati da un piccolo accampamento di barboni nostrani, con diversi cani, i quali barboni filosofeggiano sui massimi sistemi politici”. Manca solo la “zecca rossa” – verrebbe da dire con una battuta di spirito contemporaneo. E se “barboni” compare spesso nella “via crucis” di don Roberto, la parola “zingari”, “zingaro (piuttosto paffutello)”, “zingara” fanno gara con la presenza delle consonanti nel testo.

La “possessione salviniana” – ci sia concessa l’ironia – torna a fare capolino anche nel questuante probabilmente sfaticato per natura: “…non tutti i mendicanti sono poveri. E che la maggior parte di loro, vista l’età, potrebbe tranquillamente andare a lavorare. Ma, si sa, qualcuno il lavoro non lo trova mai…”. Ma un altro passaggio è memorabile: “…molti, troppi si approfittano del nostro essere cristiani e ci ricattano moralmente. Se non diamo l’elemosina ci sentiamo in colpa e così continuiamo a foraggiare parassiti, alcolizzati, sfruttati e sfruttatori”.
Parole come pietre.
Amen.

Qui trovate l’intervento integrale del parroco di Grandate, don Roberto Pandolfi.

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