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Cultura e Spettacolo

Como, lo Studio Legale Spallino diventa spazio espositivo: la grande fotografia in mostra per un giorno

Appuntamento con la grande fotografia, domenica 9 giugno, negli spazi dello Studio Legale Spallino di Como, in via Volta 66. Partendo dal restauro del ritratto di Angelina Giobbi (1893-1989) a opera dell’Accademia Aldo Galli, lo studio ospita una mostra dedicata al tema della dignità nella ritrattistica femminile. Tante le opere fotografiche di prestigio di autori quali Pedro Antonio Martinez Exposito, Gin Angri, Rachel Bujalski, Carlo Pozzoni, Carolina Rapezzi, Diego Ibarra Sanchez e Mattia Vacca (qui le schede degli autori).

Data: domenica 9 giugno 2024
Orario: h 10:00 / h 18:00
Luogo: Studio legale Spallino, via Volta 66 Como
Catalogo: Carlo Pozzoni editore – testi di Luigi Cavadini – grafica  BonBonDesign

Di seguito, pubblichiamo il testo critico per il catalogo del critico d’arte Luigi Cavadini.

DIGNITA’ DI DONNA

Uno sguardo serio e sincero al mondo femminile, forte di una dignità innata che nulla può scalfire, è quello che caratterizza la mostra annuale dello Studio Spallino dedicata alla fotografia.

Spunto inziale per la rassegna, che coinvolge assieme agli italiani fotografi di varie parti del mondo, è stato il restauro di un dipinto dello spagnolo Pedro Antonio Martinez Exposito (1886 -1965) raffigurante la bisnonna di Lorenzo Spallino, Angelina Gelpi in Giobbi (1893-1989) allora quarantaseienne.

L’opera, che apre l’esposizione, evidenzia la maestria dell’autore, ritrattista raffinato attivo prima in Spagna e poi in Brasile, che centra la sua figurazione sulla grande luce che illumina il volto, sullo sguardo limpido e sul sorriso a labbra chiuse che con il tocco deciso di rossetto dà ulteriore freschezza all’incarnato. Un ritratto ufficiale, certo, ma senza fronzoli, che gioca il fascino della bella donna tra il nero del vestito e i pizzi leggerissimi che impreziosiscono il decolleté e gli sbuffi delle maniche che danno sensualità a due mani affusolate con le unghie smaltate di un rosso profondo.

Dalla messa a fuoco di alcuni dettagli di quest’opera e dalla sua composizione eseguita da Carlo Pozzoni prende vita un intrigante mosaico che introduce la mostra e che evidenzia nella esplosione dei rossi del rubino dell’anello, delle labbra e delle unghie, oltre che nella profondità dell’occhio, gli elementi narrativi caratterizzanti il dipinto.

Segue la carrellata di figure femminili ritratte fotograficamente nelle situazioni più diverse. E mi piace partire dall’immagine estrapolata da Gin Angri da una scheda segnaletica dell’Archivio dell’Ospedale psichiatrico San Martino di Como, in cui si sommano la perizia documentaria di Angri con lo scatto originale e non banale del fotografo che sembra assecondare la luce laterale per dare un’anima alla “donna cancellata” rappresentata e alla sua malinconica bellezza.

Da qui il passo verso il volto di Serena inquadrata da Rachel Bujalski è breve. A distanza di decenni dalla figura precedente, si percepisce anche qui una situazione di disagio, un’indole inquieta e compromessa dalle esperienze della vita. Lo sguardo che sfugge l’obiettivo e l’atteggiamento chiuso del volto, assieme allo sfondo inespressivo, marcano lo spirito della giovane donna e ne leggono in filigrana l’imbarazzo.

Dura è anche la situazione in cui Carolina Rapezzi riprende la giovane Rashida, povera fra i poveri, all’interno di una delle discariche africane in cui confluisce il nostro consumismo, figura dignitosa con gli occhi umidi che non vedono il futuro in tanta desolazione.

Di altra indole è l’immagine fermata da Mattia Vacca in una base militare della Lituania, dove due donne reclute dell’esercito mostrano di voler tutelare una loro dignità anche in una situazione che potrebbe preludere ad operazioni di guerra.

Infine, una situazione di oggi, nell’Ucraina di guerra e di occupazione, dove Diego Ibarra Sanchez fotografa nella sua scuola bombardata, una delle tante donne, Daria, che pur nello sconforto non si abbandonano alla disperazione, ma si dichiarano disposte a prendere le armi nella speranza di un futuro di libertà.

Luigi Cavadini

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