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Cultura e Spettacolo

Un borgo con vista mozzafiato sul Lago di Como apre alle visite un luogo magico da 500 anni

Sul Lago di Como si nasconde – per modo di dire – un simbolo antico e maestoso della vita contadina del passato. Stiamo parlando del torchio di Palanzo, piccolo borgo carico di storia dalle tipiche case in pietra e con le caratteristiche viuzze in ciottolato, opera mastodontica che risale al 1572 e che a tutt’oggi è perfettamente funzionante. E infatti, ogni anno una sagra lo celebra mettendolo nuovamente in funzione. Per questo 2004, l’appuntamento è proprio oggi, domenica 13 ottobre.

La 49^ edizione della Sagra del Torchio di Palanzo si svolgerà dalle 10 alle 18 e si potrà assaggiare il succo della prima spremitura delle uve. Per tutta la giornata sono previste varie bancarelle e degustazioni di cibo locale e vino. La manifestazione è organizza da l’Associazione Amici del Torchio di Palanzo (a cui si devono le ricostruzioni storiche che leggerete si seguito) e nasce nel settembre 2004 con lo scopo di promuovere ed organizzare festeggiamenti, gare, spettacoli pubblici e attività culturali, sempre nell’ottica di valorizzare e tutelare le bellezze naturali, artistiche e monumentali del luogo.

Il borgo di Palanzo
Palanzo è una frazione del Comune di Faggeto Lario e si sviluppa a circa 600 metri sopra il livello del mare. Tra le anitche case e le viuzze, si possono scorgere angoli mozzafiato a picco sul Lago di Como. Costruito intorno ad un antico borgo, il paese conserva la struttura medievale caratterizzata da vicoli in pietra, resti di un antico castello con probabili funzioni difensive, un gigantesco torchio del XVI secolo ed antiche chiese.

Il torchio monumentale di Palanzo

La trave di castagno è stata ricavata da un albero abbattuto sul posto o nelle vicinanze, sopra il quale è stato eretto l’attuale rustico di proprietà comunale, le sue dimensioni ed il suo enorme peso avrebbe reso molto difficoltoso un lungo tragitto.Questo fa pensare che il torchio sia stato una delle prime cose costruite a Palanzo, le strette vie del paese non avrebbero permesso il passaggio dell’enorme tronco.

 

Le mura che racchiudono il torchio si distinguono dalle altre per il sasso a vista posato quasi a secco, le aperture in facciate prive di finestre e per una vecchia porta in castagno chiusa semplicemente da un antico chiavistello di ferro. Basta farlo scorrere che la porta si apre scoprendo all’interno il gigante addormentato, il torchio.

Tutto come 500 anni fa

Insieme alla macina di granito che si trova nello stesso edificio, il torchio veniva utilizzato anche per la schiacciatura e la spremitura delle noci dalle quali si ricavava olio e, dai resti dei gusci, il pannello per le bestie. L’ennesima dimostrazione di come l’economia rurale non lasciasse spazio allo spreco. Oggi come all’ora chiunque può entrare e uscire da questo spazio, non esiste custode né serratura che impedisca l’accesso. Tutto è rimasto come 500 anni fa: uno spazio sociale che custodiva uno strumento pubblico, costruito per la comunità e usato a turno da tutte le famiglie del paese.

Caratteristiche tecniche

L’altezza di tutto l’impianto è di 3,8 metri, la struttura è composta da un’enorme trave in legno di castagno della lunghezza di 12 metri e dalla circonferenza di 3 metri, imperniata da un lato su una vite senza fine, alta più di 5 metri e scolpita a mano da un unico tronco di noce e appoggiante su una grande pietra circolare di granito del peso di 3 quintali che fa da contrappeso. Dall’altro lato il tronco è retto da un’incastellatura che è la pressa del torchio che esercita fino a 20 tonnellate sulla grande vasca di granito

Il funzionamento

Il funzionamento di questa macchina è semplicissimo: alla base della vite senza fine sono incastrati quattro bastoni rotondi che altro non sono che leve su cui le donne spingevano per far girare la vite che fa abbassare l’enorme tronco sulla pressa finale. Da una prima pigiatura dei grappoli d’uva schiacciati con i piedi e lasciati a macerare per qualche giorno si ottenevano le vinacce (la procedura formava un vino aspro e sapido chiamato “bruschett”). Queste venivano sistemate tra due robusti tavolati di legno posti sul grande piano di granito su cui è incisa la data 1572, quindi il tutto spessorato con travetti, i cosiddetti “dormioni” e “suat”, atti a formare il castello di carico; altre travi venivano inserite tra i montanti terminali per aumentare il carico della leva che moltiplicava enormemente la forza umana. Finalmente, attraverso la bocchetta di scarico, il mosto prodotto dalla torchiatura andava a riempire i tini.

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