“Ho conosciuto mio marito qui dentro – racconta Dina Biagiotti, assunta in fabbrica appena ventenne – Ho lavorato per 24 anni qui. Abbiamo tre figli e un mutuo. Entrambi i nostri lavori sono a rischio. Essere qui a manifestare è surreale. Mai ci saremmo aspettati di trovarci in questa situazione”.
La storia di Dina è drammatica ma non è dissimile dalle decine che abbiamo potuto raccogliere oggi, appena fuori dai cancelli della Canepa, storica azienda tessile comasca, durante il presidio di protesta tenuto venerdì (qui tutti i racconti) a San Fermo insieme a Cgil, Cisl e Uil.
Nella tersa luce d’inverno, abbiamo ascoltato innumerevoli racconti di famiglie nate e carriere costruite con il pesante lavoro di fabbrica, salvo poi venire minacciate da un tradimento in piena regola, come lo definiscono molti dei lavoratori.
Nel maggio scorso, i vertici del fondo di investimenti Dea Capital, veicolo societario del Gruppo De Agostini, avevano dichiarato di voler investire un totale di 24 milioni di euro per il risanamento e rilancio di Canepa Spa, nel medio termine fissato per 5 anni, così hanno spiegato i sindacati.
È però notizia di pochi giorni fa la presentazione dal parte dell’azienda di quello che tecnicamente si chiama “prenotativa di concordato in bianco”, un procedimento che esclude momentaneamente la bancarotta, ma congela tutti crediti e debiti – stipendi dei dipendenti inclusi.
“Solo a sentirne parlare mi vien da piangere – racconta Giulio, impiegato dello stabilimento di San Fermo – Sono qui da circa tre anni e mezzo. L’ironia della sorte è che quando ho accettato il lavoro mi ero informato attentamente sulla solidità dell’azienda. Dea Capital ha detto di credere in noi ad agosto per poi fare clamorosamente marcia indietro a ottobre. La Canepa ha potenzialità grandissime. È triste vedere che stiamo tutti cercando altri posti di lavoro”.
Sonia Scalcinati, 32 anni di esperienza nel reparto produzione, spiega che il congelamento dei capitali ha un effetto devastante su tutta la filiera produttiva e sul territorio: “Non ci sono più soldi per pagare i fornitori che, giustamente, si rifiutano di farci credito dopo averci dato fiducia a vuoto. Non ci sono più tessuti. Non ci sono i filati. Non possiamo soddisfare gli ordini e non si crea fatturato. Si è innescata una spirale negativa che ci sta portando giù”.
Nonostante le promesse di investimenti ulteriori per la riqualificazione della Spa, Dea ha rimesso la Canepa sul mercato a ottobre, aprendo nuovi, diversi scenari: la vendita ad acquirenti provenienti da un fondo industriale o, eventualmente, un partner privato.
Il sezionamento e vendita a pezzi sarebbe l’ultima ultima spiaggia. “Le nostre scelte sono limitate. Anche se passiamo a un industriale che già ha degli stabilimenti come il nostro il rischio di licenziamenti si alza” spiega Giulio, commentando la seconda delle opzioni disponibili per il management di Canepa Spa. Il commento alla terza opzione, lo smembramento e la vendita a pezzi, arriva invece dalla folla.
“No allo spezzatino, si alla Canepa” è il coro che si alza dal gruppo di operai in sciopero, Al megafono, Doriano Battistin, spiega ai manifestanti che occorre evitare categoricamente lo smembramento dello stabilimento e la vendita – lo “spezzatino” appunto. “La continuità occupazionale dell’azienda va garantita. Siamo disponibili a lavorare insieme alla dirigenza ma non a essere presi in giro” ha dichiarato Battistin.
Chi oggi protesta, lo fa perchè ha passato gran parte della propria età adulta in fabbrica, quasi si trattasse di una parte della propria identità ad essere minacciata. “Tre quarti di noi sono qua da decenni – racconta Roberta Sala, 33 passati con Canepa – Sono entrata quando di anni ne avevo 16. Parliamo di una vita passata qui, quella che con il tempo è diventata una grande famiglia, una seconda casa. Dobbiamo mandare un messaggio chiaro: le persone non sono numeri”.
Le storie della Canepa, pur dovendo rimanere umane, sono anche fatte di numeri. Come nel caso di Ermes Tettamanti i cui 42 anni di lavoro sulle spalle, 26 passati a San Fermo e i due che mancano alla pensione rendono tutto ancora più drammatico, amaramente ironico ed eroico allo stesso tempo. “Oggi siamo qui a causa di promesse fatte e non mantenute. Mi manca qualche anno alla pensione. Cercare un lavoro potrebbe essere difficile ma non sarebbe la fine del mondo. Ho fatto il mio tempo – spiega l’uomo – Sono qui per chi dei miei colleghi ha ancora una vita lavorativa lunga davanti. Siamo uniti. La Canepa c’è”.
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