“Il consiglio di amministrazione di Como Acqua si sarebbe già dovuto presentare dimissionario all’ultima assemblea dei soci, per rispetto. Non l’ha fatto ma sia chiaro: quel cda non ci rappresenta più e non ha la nostra fiducia”. Il sindaco di Canzo, altresì coordinatore provinciale della Lega e sottosegretario in Regione, Fabrizio Turba, evita i mezzi termini. E – come già fatto dal forzista Alessandro Fermi con questa intervista – rilancia la sfida aperta sia al board della società che dovrà gestire l’acqua in provincia di Como, sia – indirettamente, ma nemmeno troppo – al Pd che di fatto esprime sia il presidente che i due consiglieri di amministrazione (il cui operato è stato difeso dal consigliere regionale e sindaco di Figino, Angelo Orsenigo con queste parole).
“Il nocciolo della questione – afferma Turba – non è affatto quello che qualcuno definisce un diverso metodo di calcolo sul valore delle 12 società che confluiranno in Como Acqua. Il problema vero è che la maggior parte dei 30 milioni di differenza emersi tra la prima perizia e il secondo studio è legato a cespiti che non dovevano assolutamente rientrare nei conteggi. Si tratta di cespiti già ammortizzati, cioè opere già realizzate e finanziate con denaro pubblico”.
“Sono stati inseriti nella prima perizia palazzine o altre strutture completamente pagate da fondi pubblici di Comuni, Regione, Unione Europea – afferma Turba – Alcuni impianti che fanno parte del demanio e non del patrimonio delle società sono stati calcolati e invece non dovevano affatto entrare nel conteggio per determinare il valore delle società. Da qui nasce il minor valore delle 12 società per 30 milioni (da 86 milioni a 56, ndr), enorme divario che soltanto grazie alle nostre insistenze è emerso. Tutti i cespiti pagati con denaro pubblico andavano esclusi, altrimenti il cittadino è come se li pagasse due volte”.
“Di tutto questo – rilancia il sottosegretario regionale della Lega e sindaco di Canzo – il cda era stato messo al corrente addirittura nel novembre 2017, prima dell’ultima assemblea dei soci di Como Acqua dove sfumò l’ennesima forzatura per approvare la fusione, altro aspetto che dovrebbe far riflette il cda. Io stesso avevo sollevato la questione ai tempi. Dunque – aggiunge Turba – non si può ridurre tutto a una questione tecnica, ma ci sono responsabilità di cui si deve rendere conto. Ma non basta: se fosse stata approvata la fusione a fine 2017, il rischio sarebbe stato che Como Acqua andasse incontro a una svalutazione di oltre 30 milioni già dopo il primo esercizio. Con la prospettiva che per ripianare un tale squilibrio sarebbero dovuti intervenire i privati”.
“Dunque ribadisco che noi non abbiamo più fiducia di questo cda, anche per una questione generale di trasparenza – rilancia Turba – Senza contare che ora stiamo perdendo tantissimo tempo sul percorso di fusione eppure incredibilmente manca ancora il piano industriale e i 200 dipendenti delle 12 società ancora non sanno cosa sarà del loro futuro a fusione avvenuta”.
E’ un fiume in piena Turba: “Un ultimo aspetto da non sottovalutare riguarda il fatto che questo blocco del percorso ha determinato il fatto che le Sot non stanno più facendo investimenti, nemmeno nelle riparazione delle reti. Ma non investendo soldi, le società accumulano denaro e riversano tutti gli utili in Como Acqua. Alla fine si andrà a pagare una montagna di tasse per niente. Con il pericolo che tutto questo si riversi nelle bollette che pagano i cittadini”.