Dopo 10 anni ha deciso di prendersi una pausa, nonostante corteggiamenti trasversali pieni di attenzioni, proposte, lusinghe. Non sono bastati: Ada Mantovani, la consigliera comunale più votata nel 2017 con 700 preferenze personali raccolte nella lista “Rapinese Sindaco”, ha preferito saltare un giro. Ma la scelta, come può confessare adesso, è stata (ed è) tutt’altro che semplice: “Sì, è vero, mi dispiace abbandonare. Ho preso la decisione a marzo, ma, a essere sincera, il travaglio che avevo allora me lo sono portato dentro fino ad ora. Se avessi dovuto seguire l’istinto, non avrei lasciato. Però ha pesato molto il mio percorso politico (Mantovani si affacciò alla politica con AN, prima di passare con Rapinese e finire questo mandato nel Gruppo Misto dopo lo strappo sul dormitorio, Ndr). Avevo il timore di essere fraintesa, di poter essere attaccata e non compresa nelle mie intenzioni che certo non hanno nulla a che vedere con la voglia di candidarmi a tutti i costi. Non sarei stata capita e siccome questa città mi ha dato tanto, quello sarebbe stato un dolore eccessivo”.
E questi ultimi giorni da consigliera come li sta vivendo?
Spesso si esce maciullati da lunghe esperienze politiche, a me non è capitato e questa è una grande fortuna. Sono serena, anche se emotivamente mi piange il cuore a dover staccare perché ho messo passione, interesse e studio in tutti questi anni. Esco arricchita da questa esperienza a tutti i livelli e l’avrei proseguita con lo stesso entusiasmo, se non avessero prevalso le ragioni che ho detto prima. Non avrei mai creduto che facendo il consigliere potesse nascere un legame così forte con la città e il suo futuro, il suo sviluppo, i suoi problemi e soprattutto i suoi cittadini. Diciamo che per ora al sabato evito di andare in centro, perché a vedere i gazebo, il contatto con la gente, il clima della campagna elettorale, mi manca tutto molto.
Che cosa resta, dunque, di questi dieci anni a Palazzo Cernezzi?
Quando rivesti il ruolo di consigliere e ti occupi della vita della città, ne scopri mille aspetti che prima, da fuori, era difficilissimo anche solo intuire. Alcuni meccanismi della macchina comunale, le modalità operative, i passaggi tecnici e politici da cui dipendono decisioni e azioni si mostrano in una complessità che il cittadino legittimamente non può conoscere fino in fondo, ma che offre una prospettiva diversa su tutto. Alla fine di questo percorso mi sento senza dubbio più ricca di conoscenza e di stimoli.
Dieci anni passati tutti all’opposizione. Mai sognato di fare anche un’esperienza di governo?
Essere in minoranza, se non si interpreta quel ruolo soltanto come un modo per dire di no pregiudizialmente a tutto, cosa che per me non è mai stata, ti spinge a guardare tutto con più attenzione, a fare da pungolo per chi amministra, cercando di capire fino in fondo se una proposta o un progetto facciano il bene della città oppure no, naturalmente secondo la propria visione. Un atteggiamento che immagino sia molto più difficile in una maggioranza, dove il rischio di fare soltanto da ratificatori delle scelte della giunta aumenta molto. Per tornare alla domanda, all’inizio di questa esperienza sicuramente non me la sarei sentita di assumere un incarico di governo, oggi forse dopo 10 anni e tanta palestra sul campo sarei stata anche pronta, anche perché il percorso formativo ritengo sia essenziale. Mi ha sempre stupito chi accetta incarichi importanti senza alcuna esperienza o, ancor peggio, senza alcuna competenza specifica. Io non riuscirei mai e se proprio dovessi dare un consiglio a chiunque andrà a governare Como, ecco, direi: scegliete persone competenti, è davvero essenziale.
Lei ha diviso la sua decade in aula tra due sindaci, Mario Lucini e Mario Landriscina, di due schieramenti opposti. Che giudizi ne può dare?
Con il tempo ho avuto soprattutto la possibilità di rivalutare positivamente l’operato della Giunta Lucini, non soltanto per quanto realizzato ma anche per la capacità maggiore, rispetto a Landriscina, di tenere compatta la maggioranza che è apparsa molto meno sfilacciata di questa. Sul piano empatico, però, onestamente non ho notato grandi differenze tra i due. Per quanto riguarda me, durante il mandato Lucini due-tre cose che avevano poi avuto un seguito le avevo proposte, mentre in questi cinque anni sono forse stata più fedele a un ruolo di controllo sull’operato di sindaco e assessori.
Con Alessandro Rapinese che rapporti ha ora?
A lui devo l’inizio di questa esperienza e non rinnego nulla, ma oggi non abbiamo alcun rapporto.
In conclusione, questo è un addio o un arrivederci al Palazzo?
Oggi è prematuro dare una risposta, chissà se nei prossimi anni, standone fuori, la passione e l’entusiasmo che sento ancora adesso così forti rimarranno tali o diminuiranno. Pensi che la “deformazione politica”, ormai, ogni volta che viaggio, mi porta a guardare le altre città con gli occhi di chi amministra, osservando le cose che funzionano, quelle migliori o peggiori di Como, quelle potenzialmente importabili. Mi è accaduto anche a Parigi, per dire.
Ma sindaco lei proprio non si vede?
Ringrazio chi ci ha pensato, ma no, quel ruolo credo non farebbe proprio per me. Aiutare da vicino un sindaco, invece, potrebbe piacermi. Ma una cosa vorrei dire ora, per chiudere: grazie alla mia città, con tutto il cuore.
Un commento
“Con il tempo ho avuto soprattutto la possibilità di rivalutare positivamente l’operato della Giunta Lucini, non soltanto per quanto realizzato”
Il tempo è galantuomo e l’operato di Lucini l’hanno rivalutato in molti.
Chi in maniera esplicita, come Mantovani; chi in maniera implicita, come la destra, che prima osteggiava le scelte, ma poi una volt amaggioranza ha deciso di mantenerle in blocco: ZTL in via Garibaldi, ai portici Plinio, il monumento di Libeskind, piazza De Gasperi, etc..
Oltre ai stupidi tentativi di smantellamento (come l’info point sotto al Broletto), per poi tornare mestamente sui propri passi, riconoscendone la bontà.