Che il centrodestra comasco debba andare per forza unito alle elezioni comunali è una sorta di mantra che si sente ripetere a ogni piè sospinto. Ma lo scenario reale, che poi è sempre quello sotterraneo più di quello alla luce del sole, dice la stessa cosa? Non proprio.
A livello nazionale e locale, infatti, Forza Italia, soprattutto dopo la tormentata elezione del presidente della Repubblica, tende sempre più ad accreditarsi come polo centrista ben distinto dalle ali destre, agevolata in questo proprio da FdI e Lega che sembrano più impegnate in un eterno derby che non a tessere una trama larga e condivisa a ogni livello. Eppure, a dispetto degli sgambetti e delle punzecchiature reciproche tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini, e andando oltre le ambizioni da calamita dei moderati di Silvio Berlusconi, nel pensiero comune si tende sempre a considerare la ricomposizione elettorale di queste tre gambe del centrodestra come ineluttabile, scritta nei fatti e nelle cose.
Intendiamoci, nessuno potrebbe nemmeno lontanamente negare che ci sia anche molta logica artimetica in questo ritornello dell’alleanza a tutti i costi: un conto, per esempio a Como, sarebbe avere una coalizione che punti alla quota minima del 20% (mettiamo il caso formata soltanto da Lega e Fratelli d’Italia), un altro è avere un’alleanza larga che includa anche Forza Italia, con cui ambire a una quota minima del 25%. Basti tenere presente che, sebbene nell’ormai lontano 2017, il solitario candidato sindaco di Como Alessandro Rapinese, arrivò al 22 e passa percento. E’ evidente la differenza tra un centrodestra che si collochi sopra o sotto quella deadline: c’è un ballottaggio di differenza, giusto per stare sul brutale.
Fatta questa lunga premessa, e tenendo sempre conto il potenziale interesse del centrodestra comasco a unire le forze anziché disperderle, qui subentra il peso della scelta del candidato sindaco. E per capire il perché – e perché l’alleanza ineluttabile, in realtà, ineluttabile non è – bisogna fare un salto a Verona. Nel Veneto centrodestrissimo guidato da uno dei leader più forti in assoluto della Lega e dell’intera area politica in questione, ovvero Luca Zaia, alle prossime comunali la coalizione andrà spaccata in due tronconi. Da un lato, FdI e Lega uniti a sostegno del candidato sindaco Federico Sboarina. Ma Forza Italia, che di quel nome non ne ha voluto sentire, si presenterà invece agli elettori da sola al fianco di Flavio Tosi, ex enfant prodige leghista poi come noto caduto in disgrazia. Insomma, “la frattura impossibile”, così impossibile non è, può verificarsi (peraltro come accadde a Erba nel 2017, giusto per rinfrescare anche la storia recente della politica comasca).
Ma oltre alla città dell’amore, ci sono altri campanelli che suonano una musica simile anche in altre parti d’Italia: in Sicilia, ad esempio, in vista delle comunali e delle regionali, mercoledì scorso si è svolto un incontro tra il segretario regionale del Pd, Anthony Barbagallo, e Gianfranco Micciché, presidente dell’assemblea regionale e commissario di Forza Italia, per valutare possibili intese. Insomma, i tabù non sono più così tabù.
Per chiudere il cerchio tornando sul Lario, dunque, la valutazione nella corsa per Palazzo Cernezzi resta ancora duplice: tutto fa propendere che, per logica politica e interesse elettorale, alla fine Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia serrino i ranghi e (magari senza un entusiasmo alle stelle) si presentino a braccetto nell’asseto standard. Ma i malumori serpeggianti benché apparentemente non ancora esplosivi sui nomi per la candidatura a sindaco tirati fuori ora da uno ora dall’altro partito (Stefano Molinari per i meloniani che piace poco ai forzisti e parte dei leghisti, Mario Landriscina per i leghisti che piace per nulla Fdi e Forza Italia, fino ad Anna Veronelli come jolly berlusconiano) non andrebbero troppo sottovalutati dai segretari delle forze in campo. A volte, anche le rotture impossibili diventano reali e clamorose. Magari partendo giusto da qualche malumore ignorato.