Che l’idea della candidatura a sindaco di Como di un imprenditore quale Paolo De Santis (per di più potenzialmente non figlia del classico politburo post sovietico) possa non piacere a una parte del centrosinistra e in particolare a qualche spezzone del Pd è del tutto legittimo. Su questo non si discute.
Così come non è discutibile l’eventuale contrarietà, se si vuole anche soltanto per una preventiva questione “di pelle”, nei confronti di un nome che pure conduce un impero nel mondo dell’hotellerie di lusso, che ha visto ciò che ora è ComoNext prima di molti altri, che ha condotto la Camera di Commercio, che ha già persino avuto un’esperienza politico-amministrativa (con Forza Italia) negli anni ’90. D’altronde, questo è davvero sacrosanto, non è con i curriculum – o comunque non è soltanto con i curriculum – che si costruiscono intese, candidature, alleanze e storie politiche.
Ma due cose – da un punto d’osservazione totalmente neutrale sul punto, qual è per fortuna questa testata – sulle risposte tra lo sprezzante e il deprimente date oggi dal segretario provinciale del Pd, Federico Broggi, e dal capogruppo dem a Palazzo Cernezzi, Stefano Fanetti, sulla questione De Santis, viene spontaneo dirle.
Liquidare un imprenditore importante in sé e certamente ancor di più poiché non lontano da un iscritto al Pd comasco non proprio secondario quale Giuseppe Guzzetti, come ha fatto Broggi, con l’espressione “un nome come un altro” non è soltanto vagamente irrispettoso della persona (e quelli comunque sarebbero fatti privati); è piuttosto un’assoluta mancanza di sagacia politica, di tatto politico, di tattica e forse persino di strategia politica, se non altro per prendere tempo e capire meglio “il giro del fumo” a un livello più alto del proprio pianerottolo.
Quando invece Stefano Fanetti antepone “il percorso delle segreterie per tenere insieme il centrosinistra su molti fronti”, a parte mutuare un linguaggio da pentapartito dei primi anni ’80, il capogruppo Pd a Palazzo Cernezzi dovrebbe almeno spiegare quali sarebbero queste segreterie così numerose e incisive, visto che a parte quella del Pd e forse quella di Civitas, non ne risultano altre reali e radicate sul territorio, al di là di sigle più o meno monocellulari e singole personalità che eternano se stesse e poco più da una badilata di lustri.
Ma soprattutto – e questa in fondo è la vera questione – Broggi e Fanetti, che sembrano chiaramente esprimere il disagio e la stizza per una sostanziale esclusione di una parte del Pd (la loro corrente) dalla trattativa che conta su e con Paolo De Santis , dovrebbero forse prendersela con l’eventuale “nemico interno” per la sorpresa emersa proprio da queste pagine, piuttosto che svilire in maniera banale e sprezzante una potenziale candidatura comunque di peso con il (finto) obiettivo di coltivare un mostruoso e probabilmente inesistente Ulivo comasco in sedicesimo.
Difficile, in ultimissima analisi, non correre almeno per un attimo a quel personaggio là, come si chiamava? Ah sì: Tafazzi.