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Como, la lettera: “Scuola difficile? Qui mia figlia impara rispetto e condivisione. Ma alla politica non interessa”

Il tema della chiusura delle scuole comunali e dell’apertura ai privati da parte della giunta Rapinese continua a essere un tema del dibattito pubblico in città. Oggi riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera di Francesca Monti sull’annunciato addio alla scuola di Ponte Chiasso. Di seguito, il testo integrale.

Buongiorno,

scrivo in merito alla scelta dell’amministrazione comunale di chiudere otto scuole a Como.

Mia figlia ha sei anni, e nei mesi scorsi abbiamo visitato diverse scuole per scegliere dove farle iniziare le elementari. Dopo l’Open Day della scuola di Ponte Chiasso, non abbiamo avuto dubbi.

Apparentemente poco accogliente all’esterno, questa scuola è animata da un gruppo di insegnanti di ruolo di grande esperienza, che da anni portano avanti un progetto didattico molto serio, avvalendosi di una struttura rinnovata al suo interno, dove spicca una bellissima biblioteca. Gli sguardi perplessi di altre mamme di fronte alla mia scelta mi hanno detto più di mille parole: quanto Ponte Chiasso sia considerato un “quartiere difficile”, di confine, caratterizzato da un multiculturalismo e da una diversità che spaventano ancora oggi, anche per il ricordo della tragica cronaca di qualche anno fa.

Come rispondono a questa complessità le insegnanti? Anzitutto, per quello che ho potuto verificare in prima persona, costruendo un ambiente in cui vige il massimo rispetto per ogni genitore, qualunque sia la sua origine o status sociale. Pensate a cosa voglia dire per un bambino di sei anni vedere che ai propri famigliari non viene dato sbrigativamente del “tu” per via del loro italiano stentato, ma del “lei”, pretendendo allo stesso tempo il massimo rispetto delle regole comuni. Con scelte oculate e democratiche, per esempio attività supplementari che non richiedono ulteriori spese ai genitori e possano davvero essere utili nel percorso formativo dei bambini.

In un contesto come Ponte Chiasso, la scuola è forse l’unico ambiente realmente egualitario, un microcosmo in cui si insegnano, si spiegano e si mettono in pratica le regole del vivere comune. Condivisione, solidarietà, rispetto reciproco, valorizzazione delle capacità individuali. Evidenzio questo ultimo aspetto, perché un rischio che mi era stato prospettato è che, ad esempio, la presenza di bambini che dovevano ancora imparare l’italiano avrebbe creato un ritardo formativo per gli altri. Questo non si è ovviamente verificato, anzi, i rispettivi “limiti” diventano, grazie alla formulazione dell’attività didattica, un ulteriore mezzo di dialogo, di apprendimento e di cooperazione tra i bambini. Tutti stanno al passo e tutti hanno da imparare. E sono felici di farlo. Attualmente mia figlia ha una conoscenza e un’apertura verso il mondo che io alla sua età, e forse anche adesso, mi sarei sognata, e non trovo che il suo apprendimento stia subendo un ritardo, al contrario riscontro ogni giorno quanto sia seguita attentamente in classe.

Realisticamente, il lavoro svolto da queste insegnanti non sarebbe possibile, o non sarebbe così efficace, in una classe di venti o trenta bambini. Perché è evidente che non potrebbero dedicare la stessa attenzione a ciascuno di loro.

Va quindi considerato un investimento poco redditizio per un’amministrazione comunale? Vale la pena ignorare quanto sia vitale per Ponte Chiasso avere un luogo come questo? Io non credo, e non parlo solo per interesse, retorica o per la mia personale visione politica. Anche assumendo una prospettiva di estremo pragmatismo e realpolitik, crescere dei cittadini più consapevoli, meno arrabbiati e con un maggior senso civico è prioritario per la vita di una comunità.

Se avessimo una classe politica avveduta, un caso come quello delle elementari di Ponte Chiasso sarebbe uno dei fiori all’occhiello della città, un modello virtuoso da esaltare e promuovere. Peccato, invece, che non le interessi approfondire.

Grazie, Francesca Monti

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