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Punti di vista

Dal vescovo di Como uno storico discorso contro l’overtourism: “Per selfie e soldi sfalda e svuota la città”

Il messaggio alla città di Como pronunciato oggi venerdì 30 agosto dal vescovo Oscar Cantoni in occasione dei Primi Vespri alla vigilia del patrono Sant’Abbondio è probabilmente uno di quelli destinati a rimanere nella storia della comunità, e non solo dei fedeli. Perché un discorso di tale forza con i danni dell’overtourism sul tessuto sociale, economico e storico della città davvero non si era mai sentito finora, figuriamo dalla Chiesa. Ne pubblichiamo di seguito ampi stralci rimandando a questo link per la versione integrale.

Como: città di chi?
Comunità, turismo e accoglienza

[…] LA VOCAZIONE DELLA NOSTRA CITTÀ

[…] In questo dialogo con la nostra Città mi chiedo allora: Como, qual è la tua anima? Quale la tua vocazione? Sei Città di confine e di scambi, via di commerci vicini e lontani, terra di imprese e di incontri, luogo desiderato e tanto visitato, ricca di bellezze, di storia e di natura. Circondata da un incanto che dalle tue verdi montagne si riflette nelle mille sfumature di blu del tuo lago. Secoli di storia e di cultura si possono ravvisare nei tuoi monumenti e nelle tue chiese, nella tua grande e artistica Cattedrale. Città di imprese e di lavoro, di studio e di ricerca. Oggi anche sede di una università giovane e vivace, di tante scuole, del Conservatorio, di Accademie. Città di musei, di teatri e di cinema, luoghi di incontro e di socialità. Città ricca, anche molto ricca, ma non senza le sue contraddizioni.

Como, sei anche e soprattutto la tua gente, il tuo popolo. Città dai lustri natali. Donne e uomini di cultura e di scienza, di fede e di storia. Qui nati o vissuti hanno arricchito e reso nobile questa terra. Dalla storia più lontana e fino ai giorni nostri, un lungo elenco di nomi – dei quali ne ricordo solo alcuni – ci parla di genio e di impegno, di coraggio e di estro, di santità e di carità, uomini e donne illustri, laici e religiosi, espressione di un grande popolo creativo, generoso e laborioso. È bene ricordarli alla nostra memoria:

  • Plinio il vecchio, scrittore e filosofo, nato a Como proprio 2000 anni fa;
  • Plinio il giovane, avvocato, scrittore e magistrato, nato nel 61 dopo Cristo;
  • Maddalena Albrici (Como, 1390-1465), badessa del monastero agostiniano di Sant’Andrea a Brunate;
  • Paolo Giovio, vescovo, storico e medico, nativo di Como nel 1483;
  • il cardinale Tolomeo Gallio, nato a Cernobbio nel 1526;
  • Benedetto Odescalchi (1611-1689), divenuto papa con il nome di Innocenzo XI e beatificato nel 1956;
  • Alessandro Volta, chimico e fisico, nato a Como nel 1745;
  • Giovannina Franchi (1807-1872), fondatrice della Congregazione delle Suore infermiere dell’Addolorata e beatificata nel 2014;
  • Cesare Cantù (1804-1895), storico, politico e letterato;
  • Teresa Ciceri, donna di scienza, morta a Como nel 1821;
  • Achille Grandi, politico e sindacalista, nato a Como nel 1883;
  • Antonio Sant’Elia, (1888-1916), geniale precursore dell’architettura moderna;
  • Giuseppe Terragni (1904-1943), architetto, massimo esponente del razionalismo italiano;
  • Carla Porta Musa (1902-2012), scrittrice e saggista.

Permettete che tra questi grandi inserisca anche due sacerdoti che hanno onorato con la loro vita e con la loro morte la nostra Città: don Renzo Beretta e don Roberto Malgesini.

Ogni città è, infatti, anzitutto il suo popolo. Città, fin dalla sua etimologia, richiama il “cives”, il cittadino, e si definisce così come il luogo dei suoi cittadini, la Comunità di chi la abita. E allora mi chiedo: Como, di chi sei? Dove sei Comunità di Como? Si potrebbe ancora parlare di Città quando questa non fosse più il luogo dei suoi cittadini? Una Città non è di pochi che la possiedono o la governano, ma non è neppure di nessuno. È invece di tutti, perché tutti, come cittadini e cittadine, siamo chiamati a partecipare. Tutti, insieme, a prendercene cura nell’ascolto reciproco e nella collaborazione. Non spazio anonimo, “cumulo di pietre” appunto, ma relazioni, luogo di vita, intreccio di persone. Ecco cos’è una Città, ecco cosa non può rinunciare ad essere.

COMO: CITTÀ A VOCAZIONE TURISTICA
[…] Questo flusso turistico porta tra noi benessere e ricchezza, occasioni di incontro e di scambi, ma insieme anche il rischio di alcune storture e di vari limiti. Per molti aspetti un tale aumento del turismo si sta rivelando insostenibile dal punto di vista sociale e ambientale. Non è qualcosa che accade solo qui. In molte altre Città e territori sta accadendo lo stesso fenomeno (si parla ormai di over-tourism o di ‘turistificazione’). Nessuno ha soluzioni facili, per questo non può mancare una riflessione più consapevole e condivisa. Non sono pochi gli appelli, anche autorevoli, che in questi tempi hanno ricordato che un tale fenomeno non può essere solo subìto, occorre invece ben gestirlo e governarlo. Io aggiungerei: anche e soprattutto umanizzarlo! È il compito di una buona politica e di una buona Comunità: prendersi cura di ciò che accade, senza lasciarsene travolgere.

Appare, immediatamente, il rischio di un turismo consumistico, “mordi e fuggi”, che veloce consuma spazi e territorio. Senza tempo, tutto è di fretta e ciò che conta è scattarsi un selfie da pubblicare sui social. Ciò che ci circonda è utile solo come sfondo di una fotografia. Tutto diventa veloce ed effimero come un clic. A questa cultura consumistica ed effimera si contrappone, invece, un’altra idea di turismo: più lento, più consapevole e più rispettoso delle persone, dei luoghi e dell’ambiente.

Chiediamoci: come promuovere una maggiore attenzione ai luoghi culturali e artistici del nostro territorio? Come proporre percorsi di visita ai nostri luoghi storici, ai nostri musei, alle nostre chiese, che siano un reale incontro e arricchimento personale? Come favorire quindi un turismo che faccia crescere non solo i followers, i likes e i guadagni, ma anche l’intelligenza, il cuore, lo spirito?

I dati statistici ci parlano di un accesso estivo alla nostra Cattedrale di migliaia di persone ogni giorno: si tratta di cristiani o appartenenti ad altre religioni, o semplicemente cultori dell’arte. Spesso capita che molti ammirino la nostra Cattedrale solo con l’occhio di chi entra in un museo, interessati semplicemente alle numerose opere d’arte in essa contenute. Pur restando affascinati dalla bellezza della sua architettura e dalle opere d’arte in essa conservate, c’è il pericolo che venga sminuita la dimensione religiosa, tipica di questo particolare ambiente. Come vorrei che, con l’aiuto dei volontari, appositamente disposti all’accoglienza spirituale, quanti entrano, anche solo come turisti, potessero scoprire pure il valore e il significato della Cattedrale come Chiesa madre, centro liturgico e spirituale di tutta la nostra Chiesa diocesana! Luogo innanzitutto di preghiera, individuale e comunitaria, di silenzio, di raccoglimento e di riflessione, la Cattedrale riflette visibilmente la nostra intera Comunità cristiana, pur ricca di secoli, tuttora vivente e operosa, che continua ad essere una presenza preziosa e incisiva dentro la storia di oggi, a servizio del bene comune e soprattutto dei poveri.

La visita alla Cattedrale di Santa Maria Assunta, così come alla storica basilica di San Fedele (secolo XII) o a questa stessa antica basilica romanica di Sant’Abbondio e a tanti altri luoghi sacri, come può diventare l’occasione per trasformare un itinerario da soli turisti ad un cammino da veri pellegrini, ossia persone che pregano, ispirati dallo Spirito Santo, gli uni per gli altri, nell’armonia delle diversità, nonostante l’umanità sia oggi ancora preda della indifferenza e della paura dell’altro?

Ancora più radicalmente mi chiedo: questo turismo come può diventare un autentico incontro tra popoli, dove tutti si possano vicendevolmente arricchire, nella conoscenza e nell’incontro tra persone diverse, per storie, culture, religioni, esperienze di vita? Come le ricchezze spirituali dei nostri ospiti possono rivelare o stimolare risorse del nostro Cristianesimo non ancora dispiegate?

Accanto a questo primo rischio, ne riconosco altri, parimenti preoccupanti.

L’afflusso di questa ondata turistica nella nostra Città comporta un forte aumento dei prezzi delle merci e delle case, fino a rendere il centro Città un luogo a tratti inospitale per i cittadini. Sempre più famiglie abbandonano il centro, dove i prezzi delle case sono inaccessibili e molte abitazioni sono ormai trasformate in B&B per ospitalità brevi dei turisti di passaggio. Molti, attratti ormai da un più facile guadagno, scelgono di destinare così le proprietà del centro. Si pensi che dal 2016 al 2023 il numero delle case vacanze è passato da seicento a oltre quattromila seicento. La Città, però, così facendo, si svuota e, in qualche modo, si sfalda anche la Comunità: più alloggi per i turisti, meno case per i residenti. Questo comporta, non solo nel centro storico, una urgente emergenza abitativa. Con difficoltà si trovano case a prezzi equi e così il diritto ad abitare è messo oggi a rischio per molti giovani, per tanti studenti, per molte nuove famiglie. Per non parlare degli stranieri, che anche quando hanno un lavoro e una stabilità economica, faticano a trovare un’abitazione, talvolta solo per uno strano pregiudizio nei loro confronti. Come sempre, sono i più deboli a soffrire e ad essere messi ai margini. Da molti territori della Diocesi giungono appelli per questa crescente emergenza abitativa. Ancora mi chiedo: come possiamo invertire questa rotta che conduce all’esclusione e non costruisce Comunità? Come promuovere una Città più vivibile e accessibile a tutti, anche a chi ha meno risorse?

Insieme alla questione abitativa, in conseguenza di questo crescere del turismo, si pone anche il tema della dignità del lavoro. Se è vero che il turismo porta lavoro e benessere, ci dobbiamo chiedere con verità se questi vantaggi siano effettivamente per tutti. Ascolto racconti di lavoratori nel settore turistico (spesso giovani o stranieri) sottoposti a ritmi eccessivi, così come a stipendi poco sostenibili per la vita personale e famigliare. Il lavoro non può essere mai sfruttato. Mi domando: come redistribuire più equamente i vantaggi e la ricchezza derivante dal crescere del turismo?

Infine, andando ancor più alla radice delle questioni, mi chiedo se ciò che dobbiamo sconfiggere non è forse proprio questa diffusa e facile tentazione a volerci arricchire sempre di più. Incantati dal mito del guadagno, rischiamo di lasciarci distrarre come da un nuovo canto di sirene e così perdiamo la rotta. Ascoltavo da un sindaco del nostro territorio un’analisi intelligente e sincera: questa continua corsa ad una maggiore ricchezza conduce, alla fine, al disfacimento di molte famiglie e Comunità. A chi nella vita sacrifica tempo e relazioni sull’altare della sola ricchezza da accumulare, giungono sempre vere quelle parole di rimprovero del salmo che dice: “se vedi un uomo arricchirsi, non temere e non invidiarlo, perché quando muore con sé non porta nulla” (cfr. Sal 49).

Ogni vocazione è un dono, ma essa comporta anche dei rischi. Così è anche per la nostra Comunità a vocazione turistica. L’accoglienza e l’ospitalità non possono essere vissute senza le “virtù del cuore”. Per questo occorrono Comunità più ospitali, non solo aziende specializzate o imprese di persone interessate unicamente al profitto e allo sfruttamento del territorio. Un territorio, occorre ricordarlo, che non hanno prodotto loro, ma che è un bene di tutti, donato da Dio e arricchito dalle generazioni passate. La bellezza e ogni altro bene hanno una destinazione universale. Ogni tentativo di appropriarsi di ciò che è di tutti e di asservirlo ai propri interessi è un peccato e una ferita alla Comunità.

Un buon turismo deve, invece, trovare spazi e tempi per valorizzare e non stravolgere l’identità di una Città, di una Comunità, di un territorio. Si cresce insieme solo nella ricerca di una maggiore armonia tra la vita e la cultura dei residenti con la vita e la cultura di tutti gli ospiti. In questa attenzione, le Istituzioni, insieme ai cittadini, sono allora chiamate a coltivare una maggiore e migliore cultura dell’accoglienza che deve essere per tutti. La bellezza di un paesaggio e la ricchezza di una storia e di una cultura appartengono a tutti. Non si può accogliere solo chi è facoltoso ed escludere chi non lo è. Tutti hanno diritto di godere della bellezza del nostro territorio, del fascino del nostro lago, della maestosità delle nostre montagne. Tutti hanno diritto ad avere un posto dove vivere dignitosamente. Dall’Incarnazione di Gesù Cristo in poi, il mondo e in esso tutta la creazione, con la sua bellezza, è la vera basilica dove trovare tracce di Dio.

PER UNA CULTURA DELL’ACCOGLIENZA
La cultura cristiana ha sempre promosso bellezza, ma insieme ha offerto anche ospitalità. Nella storia e così anche oggi, non è banale il contributo di riflessione e di valore che la Comunità cristiana può partecipare alla convivenza pubblica. C’è, anche in molte altre tradizioni religiose, così come nella cultura umanistica, una visione sacra dell’ospitalità, che considera l’ospite nel suo valore di persona e non sulla base del profitto che può portare.

Registriamo, invece, oggi una contraddizione che è un autentico scandalo: se hai soldi e porti soldi sei il benvenuto e ti metto il “tappeto rosso” anche se sei straniero. I muri crollano e il dio denaro apre ogni porta. Se invece sei, allo stesso modo, straniero, ma senza soldi: torna a casa tua! Cosa offriamo? Ai turisti facoltosi il lusso, ai poveri il minimo e, a volte, anche meno. Sotteso a questo atteggiamento c’è qualcosa di poco umano: non mi interessa chi sei, ma ciò che possiedi o che non hai.

[…] In che modo – senza senso di superiorità, ma facendoci cittadini esemplari per tutti – possiamo essere per questa Città un segno di contraddizione? Come aiutare a maturare una cura e un’ospitalità che sia veramente per tutti e non per pochi privilegiati? Come andare incontro all’altro mediante una significativa “vicinanza evangelica”? La prima caratteristica dei cristiani dovrebbe essere il loro modo di stare nel mondo, fatto di attenzioni e di prossimità, soprattutto in un tempo di “globalizzazione dell’indifferenza”, che papa Francesco regolarmente denuncia.

Come favorire occasioni di incontro, di amicizia, di scambio fraterno, per conoscere le ricchezze spirituali di chi ci visita e, nello stesso tempo, fare in modo che i nostri ospiti possano scoprire ciò che ci fa vivere? Dio ha impresso in ogni uomo i tratti propri del suo volto. Solo mediante l’accoglienza reciproca e nell’ascolto paziente di ognuno, pur nelle nostre differenze, possiamo rilevare l’immagine che Dio ha impresso in ciascuno. Come promuovere, quindi, un turismo e un’accoglienza dal volto più umano e fraterno?

Risuonano forti per noi quelle parole di raccomandazione della lettera agli Ebrei: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Eb13,2). Una città più ospitale è una città più umana, perché scopre che chi pensavamo essere uno sconosciuto, un estraneo o addirittura un nemico, può rivelarsi, invece, un compagno di cammino, un amico e un fratello. Quanti angeli, messaggeri di Dio, rischiamo di perdere l’occasione di incontrare!

A nessuno, più che ai cristiani, preoccupa il vento cattivo delle parole arroganti, la logica tribale dell’amico-nemico, l’incapacità di accoglienza e di dialogo. Non può non inquietarci una società e un mondo che vede crescere conflittualità e tensioni ad ogni livello. A questo vento cattivo si contrappone l’aria buona dello Spirito che implora ai nostri cuori di custodire e promuovere il dono della pace, a partire dai nostri rapporti interpersonali, dalle nostre famiglie e dalla nostra Città.

Una Città è bella quando rende belli i suoi abitanti e chi vi è accolto. Como è bella quando noi tutti mostriamo il nostro vero volto, ossia quando siamo buoni, belli e veri noi stessi! Quando ci mostriamo profondamente umani, quando diffondiamo tra noi e con tutti il buon profumo dell’amicizia e della fraternità.

Oscar card. CANTONI

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17 Commenti

  1. Ma parlando proprio di immobili e vil denaro, come è messa la Chiesa col pagamento di ICI e IMU? Come sempre, pecunia non olet.

  2. Un prete che fa la predica! E ci chiede di seguire il Vangelo! Ma dove andremo a finire? Chi crede che siamo…i buoni samaritani? Che non si esageri troppo con questo Gesù, se no smetto di andare in chiesa che tanto da quando non è più in latino non mi piace più

  3. Facile fare la predica quando non devi mantenerti. Cosa dovrebbe fare l’economia comasca? pregare? Con che soldi hanno rifatto l’illuminazione del suo Duomo Sig. Vescovo?

  4. Dalla cattedra di Pietro è partita la parola d’ordine e anche il Cardinale si adegua. Che rapporto c’è fra la regolazione di un turismo che da fastidio nelle sue espressioni più povere (il turismo mordi e fuggi), ma che ci piace tanto in quelle più ricche (gli hotel a cinque stelle ed i vip che frequentano il lago) e la accoglienza dei migranti devo capirlo. Forse è d’uopo riservare un’ala di Villa d’Este a questo scopo? Lungo e per certi aspetti condivisibile discorso, ma sillogismo che fa acqua da tutte le parti. Mettano il loro patrimonio immobiliare a disposizione di quelli che loro chiamano disperati anziché affittarlo ad attività commerciali legate al turismo.

  5. Buon discorso tranne quando predica l’accoglienza indiscriminata, in quest’ultimo argomento dissento fermamente come ormai la maggioranza del paese..

  6. Quanto incassano dal turismo gli immobili di proprietà della Chiesa ed enti religiosi? Ha a saperlo…

  7. Il Cardinale inquadra la deriva sociale della nostra Citta’ che e’ diventata una delle mete piu’ gettonata dalle elite turistiche mondiali. L’aridita’ dei rapporti e lo scarso interesse a promuovere eventi per la Citta’ e i suoi residenti spesso rinchiusi nelle proprie case impauriti dalle folle in transito. Puo’ essere una spinta a riscoprire le periferie e a organizzare qualcosa di piu’?

  8. Perché non li ospita nei numerosi spazi ecclesiastici sparsi per il centro di Como e chiusi??? Oppure in piazza Grimoldi, a casa sua, data la grandezza della sua residenza… chiediamoci perché le chiese si stanno svuotando…

    1. Alessandro, e basta dai … che dalle parti di piazza Grimoldi è un po’ che non ti vedono più a girare i video contro il vescovo e i poteri forti

    2. Le chiese si “stanno svuotando” semplicemente perchè c’è in atto, evidentemente, un processo di scristianizzazione della società e un coevo e marcato processo di relativismo relogioso (Benedetto XVI dixit).

  9. Grazie Don Oscar, ha saputo infondere LUCE vera sulla nostra Comunità. Un impegno per ognuno di noi.

  10. Parla dei prezzi delle case in centro città dimenticandosi che almeno la metà degli edifici della città murata appartengono ad enti religiosi. Se è preoccupato del prezzo non deve far altro che mettere in vendita immobili a prezzo ribassato.

  11. Ha ragione su tutto.
    A istanze prettamente individuali e religiose, affianca temi verso cui la politica, sia nazionale sia cittadina, potrebbe mostrare maggiore sensibilità.

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