Pubblichiamo un’articolata riflessione su fine vita ed eutanasia a firma di Giorgio Albonico, medico e scrittore, ideatore del Concorso Letterario Premio Città di Como.
Da noi la parola eutanasia ha assunto un significato sinistro. Subito ci vengono alla mente immagini di nazisti che dispensano morte per sterminare i più deboli. Ma il significato reale della parola è ben più nobile: eutanasia, buona, dolce morte.
Poi tralasciamo il fatto che poiché la morte in occidente è stata demonizzata, l’idea di associare al termine una parola come buona, dolce suona simile a una bestemmia. Ma intendiamola come dovrebbe essere e come anche il professor Umberto Veronesi la definiva e cioè l’eutanasia non è la somministrazione della morte, bensì una cura di fine vita.
Quindi l’atto di porre termine alla vita di una persona che patisce indicibilmente al fine di porre termine a quella sofferenza. Partendo dal presupposto che se la morte può essere intesa come dovere biologico per permettere alla vita di sussistere, la sofferenza no, è inutile e immorale. A meno di volere pensare giusta l’idea religiosa della Bibbia che voleva la donna partorire nel dolore, come succedeva a metà Ottocento. Nel contesto eutanasico rientra il suicidio assistito che si riferisce a un processo in cui una persona che vuole porre termine alla propria esistenza divenuta insostenibile pur ricevendo assistenza da personale qualificato a farlo, è lei stessa a ingerire il farmaco letale.
In Italia mancando una legge esaustiva in merito, esiste una sentenza della Corte Costituzionale del 2019 a stabilire che l’aiuto al suicidio non è punibile se soddisfa quattro condizioni: malattia irreversibile in fase avanzata,sofferenza intollerabile, dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e capacità di assumere, da parte del sofferente, decisioni libere e consapevoli. Purtroppo mancando una legge completa e condivisa, questa disposizione della Consulta apre alla possibilità si ingenerino interpretazioni che poi si riflettono negativamente su coloro che soffrono, spingendoli, per chi ne ha i mezzi, verso Paesi ove il suicidio assistito è possibile e non punito.
Questo viene chiarito bene da una lettera pubblicata dal Corriere della Sera il 17 febbraio scorso dove si spiegano i motivi che hanno indotto la sofferente a chiedere ai parenti di accompagnarla oltre Frontiera a morire. Nella lettera si scrive che l’idea di passare dal ponziopilatismo e lungaggini italiane mentre la congiunta soffriva, diveniva intollerabile. Infatti una delle carenze della norma Consulta è che non viene dato un termine entro il quale il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a rispondere alla richiesta fatta di ricevere un aiuto a morire.
Inoltre: cosa si intende per trattamenti di sostegno vitale? Una persona che pur non essendo attaccata ad una macchina dipende interamente da altri per tutte le sue funzioni vitali incluse il mangiare e bere, rientra o non rientra nei casi previsti dalla Consulta?
Nel dubbio si rischia di rimanere nella possibilità concreta di impantanarsi nei soliti bizantinismi e lungaggini di chi non vuol decidere nulla. Nella lettera si scrive di avere preferito andare all’estero dove una volta confermata la volontà e avere ingerito una pillola, in pochi minuti la congiunta sofferente è spirata.
Ma per fare questo ci sono voluti parecchi soldi e non tutti ne hanno le possibilità e questo è grave. E’ grave che per inerzia un Parlamento non si esprima su una questione così importante che riguarda tutti noi anche se preferiamo non pensarci, ritenendo come al solito che tanto capiterà solo agli altri. Dalla consapevolezza che sofferenza e malattia possano togliere un senso allo stare al mondo e che vivere è ben diverso dal sopravvivere. Se esiste un diritto a vivere non dovrebbe essere imposto a farlo nel dolore, ognuno dovrebbe decidere della propria vita e della propria morte nei termini della propria libertà personale e delle proprie convinzioni. “Su se stesso… la sua mente, il suo corpo, l’individuo è sovrano” scriveva John Mill.
Ma per alcuni la vita è sacra, indisponibile da chi la vive e in nome di questa convinzione pretendono che tutti gli altri si uniformino al loro pensiero che si giustifica, come sempre accade a volte anche nelle guerre, tirando in ballo un principio e un dono divino.
Ma la vita dovrebbe essere sempre sacra, indipendentemente da un intervento o dono divino. Il premio nobel per la fisica Bridgman affetto da patologia dolorosa e inguaribile prima di suicidarsi con un colpo di pistola, lasciò queste parole: “E’ indecente che la società costringa una persona a farlo da sé. Ma probabilmente questo è l’ultimo giorno in cui sarò in grado di farlo da solo”.
Parole che dovrebbero fare riflettere i ponziopilato nostrani e tutti coloro, e sono tanti che si arrogano il potere, tirando in ballo personali convinzioni fideistiche, di decidere che “visto che questo non sta bene a me non deve stare bene anche a te”.
O una classe politica codarda e paurosa di perdere consensi che dilaziona all’infinito un dispositivo di legge a normare un aspetto così importante per la vita di tutti i cittadini.
Giorgio Albonico