La posizione dello stadio Sinigaglia, nel cuore di Como, non è certamente tra la più comode per la serena coesistenza di residenti, turisti, area dei giardini e monumentale, lungolago, viabilità e appunto partite di calcio di alto livello professionistico con annessi flussi da migliaia di mezzi e persone. La complessità stessa del tessuto urbano – di qualsiasi tessuto urbano – rende complicata la convivenza tra così tanti fattori critici o comunque di massa: vale per le partite, ma varrebbe per concerti, grandi eventi e qualsiasi appuntamento che comporti la convergenza di traffico e persone verso un unico punto nel centro di una città.
In altri termini: Como, con la sua forma a imbuto e con il limite geografico del lago che riduce le possibilità di gestione di questo mix, è sicuramente un caso più complicato di altri, ma nel contempo non è certamente un unicum nel panorama italiano e non soltanto italiano. A livello nazionale, sono molti gli esempi di stadi vicini ai centri cittadini o comunque in quartieri molto abitati (senza andare lontano e pur salendo nettamente di scala, San Siro, a Milano, di certo non è un’isola nel deserto e si trova ad affrontare anche tre volte alla settimana flussi da 70-75mila persone, benché con un sistema di trasporto pubblico certamente utile ed evoluto).
Fatta questa premessa, dunque senza negare la problematicità della collocazione attuale dell’impianto comasco (che pure può certamente vantare una sorta di diritto storico di prelazione sulla sua posizione, rispetto alla città che dal 1927 è poi cresciuta attorno), quanto accaduto ieri in viale Varese – così come gli episodi che si verificarono in città dopo Como-Bari – va molto al di là del pur legittimo dibattitto sul futuro del Sinigaglia.
Rispetto al destino dello stadio in sé, soltanto la dirigenza e la proprietà del Como 1907 potranno fare chiarezza sul mantenimento in loco con ammodernamento (via che pare essere quella privilegiata sia dalla società sia dal Comune) oppure su ipotesi di trasferimento altrove con costruzione ex novo (opzione a cui, però, per costi, difficoltà di rientro dell’investimento, prospettiva di lunga/lunghissima durata, difficoltà nell’individuazione dell’area, contrarietà dei tifosi e mille altri aspetti, è davvero difficile credere). Anzi, di più: il prossimo arrivo a Palazzo Cernezzi del nuovo dirigente alle Opere pubbliche, Luca Noseda, che a Cantù ha seguito per l’amministrazione, con successo, la tutt’altro che semplice procedura per la nuova Arena della Pallacanestro, sembra un tassello perfetto per ragionare sul rilancio dell’attuale Sinigaglia sfruttando le stesse leve tecniche ed economiche.
Ma al di là di tutto questo, senza negare i problemi della situazione attuale ma senza condannare in assoluto lo stadio lì dov’è, dato che poi l’impianto altro non è se non un pacifico insieme di ferro, cemento ed erba, è il problema umano il vero tema che risalta dopo domeniche di botte e caos come quella appena passata. In sostanza, fino a quando a Como, così come in decine di altre zone-stadio italiane e non, le partite di calcio saranno vissute da gruppuscoli di delinquenti più o meno piccoli come momenti di odio, di sfogo di istinti incivili, di occasioni di guerriglia con sfoggio di mazze, passamontagna e tecniche di assalto studiate magari da settimane se non da anni, non ci sarà dibattito sugli impianti che tenga.
Nel momento in cui tutte le città del pallone continueranno ad attendere gli arrivi di manipoli di violenti – peraltro a danno della stragrande maggioranza degli appassionati lontanissimi da qualsiasi idea di scontro tra bande – con il chiaro intento di aggredire altri tifosi o di mettere a soqquadro piazze e vie, qualsiasi confronto sull’ubicazione dello stadio diventerà l’appendice inutile di un problema ben più vasto e profondo. E persino il peraltro improbabile trasferimento del Sinigaglia altrove non cambierebbe di una virgola la questione: finché la radice violenta non sarà estirpata dalle fortunatamente piccole frange di esagitati sparsi per tutto il Paese, anche uno stadio comasco altrove non farebbe altro che trasportare in un’altra zona manganellate, agguati e risse selvagge. Scenario vergognoso che prescinde dalla sua localizzazione, perché come non lo merita il centro di Como, non diventerebbe meno grave e umiliante spostato in qualsiasi altra località della provincia e dell’Italia intera.
9 Commenti
Stadio maledetto, ogni volta un casino diverso: fuori città, solo gli idioti non lo capiscono
Forse l’unica soluzione è individuare recinti in prossimità degli Stadi dove i tifosi violenti abbiano libero accesso per potersele dare di santa ragione. Si potrebbe persino vendere i biglietti e trovare qualcuno che alla televisione parli del nulla commentando queste risse organizzate. Insomma, se il calcio ormai ha indiscutibilmente stancato, torniamo agli spettacoli dell’Arena. Se organizzati sono più divertenti. Facciamo in modo che questi giovanotti alla disperata ricerca di una vita avventurosa si rendano utili e si facciano spaccare la testa per divertirci e possano allo stesso tempo porre rimedio a uno dei tanti nostri fastidiosi contrattempi. La loro noia!
Si in tutta questa storia l’unica cosa chiara è che purtroppo per colpa di alcuni la cosa migliore sarebbe portare lo stadio fuori dalla città punto e basta, ma i vari sindaci e Rapinese in testa per farsi belli con i tifosi non hanno le palle per fare ciò che è ovvio a tutti!
Il lago non è un limite ma la soluzione, tutti in battello sti sciammannati
In Italia se se ne vuole uscire, contro i violenti del calcio che operano all’esterno degli stadi vanno presi gli stessi provvedimenti che sono stati presi dagli inglesi anni fa, repressione dura e carcere
Como non può essere schiava del calcio e a rischio ogni 15gg, questa è follia pura – come giustamente dite poi, non è colpa nè del comune, nè di Rapinese nè di Landriscina o Lucini, se ci sono in giro tali idioti criminali.
Sono due problemi distinti.. il primo sono gli scalmanati (sono dappertutto e lo stadio potrebbe essere anche su Marte), il secondo è il sequestro di una intera città (intera, Como non è Milano) a causa di un evento sportivo, problema che da 30 anni subiamo passivamente con blocco della libera circolazione e servizi annessi e connessi.
Siamo governati da gente che lascia impuniti questi delinquenti che si spacciano per tifosi!!!!
È chiaro che si vuole lasciare libera questa delinquenza di agire indisturbata.
Città paralizzata. Turisti sconvolti.
Poi ce la si prende con i writers a tal punto che anni fa uno fu fermato a san Martino e gli si sparò.
È chiaro che il sistema è impazzito.
Grazie per questi commenti ponderati. Che responsabilità hanno i club nei confronti della città di Como, dei suoi residenti, visitatori e turisti per garantire un ambiente comunitario sicuro? La violenza e la tranquillità non coesistono.