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Il sindacato Nursing Up in una manifestazione del novembre 2023 a Como
Punti di vista

Fuga degli infermieri in Svizzera: “L’indennità di confine per Como, Lecco, Varese e Sondrio che fine ha fatto?”

Molti – i frontalieri, in primis, ovviamente – tireranno un gran sospiro di sollievo. Ma sul piano pratico (e politico) resta il fatto che uno dei temi che per la prima parte del 2024 ha incendiato dibattiti, polemiche e persino manifestazioni dalle due parti del confine italo-elvetico è sparito dai radar. Parliamo ovviamente della tassa sulla salute invocata a più riprese da Regione Lombardia così da finanziare con un prelievo sulle buste paga dei lavoratori italiani in Svizzera un aumento di stipendio per i medici e gli infermieri delle zona di confine. La questione, spinosissima e avversata da più parti (lavoratori, sindacati, persino parti datoriali della Confederazione), si è inabissata con l’arrivo dell’estate e di fatto non è più riemersa. Fino a ieri, quando una lunga nota del sindacato lombardo infermieri Nursing Up vi ha fatto indirettamente riferimento, tramite una domanda secca: che fine ha fatto la famosa indennità di confine prevista nella legge di bilancio per le zone di Como, Varese, Sondrio e Lecco, che subiscono la concorrenza economica della vicina Svizzera? Il riferimento è all‘impegno preso dal consiglio regionale lombardo all’unanimità nel giugno del 2023 ma che da allora – proprio come la tassa sulla salute – si è persa nella nebbia.

Di seguito, il documento del sindacato in versione integrale.

La tenuta del SSN è sempre più a rischio a causa di scarsi finanziamenti e della crisi del personale sanitario acuitasi nel periodo post-pandemico. La carenza di personale infermieristico, sottoposto a condizioni di lavoro insostenibili e a basse retribuzioni, non potrà mai essere colmata dalla figura dell’assistente infermiere.

La creazione di una nuova figura, denominata “assistente infermiere”, approvata il 3 ottobre in Conferenza Stato – Regioni, ripropone un modello sorpassato che vorrebbe ripristinare il vecchio infermiere generico, che non può e non deve rappresentare la risposta al problema della carenza infermieristica: l’inserimento di una figura ibrida, povera di formazione e con poche competenze ci riporta indietro di 50 anni. Non si tratta di difendere gli interessi di categoria, ma di preservare la funzionalità del SSN posta costantemente in un equilibrio precario, con i professionisti sanitari sempre più in difficoltà nell’erogare quelle prestazioni di qualità che le Aziende Sanitarie sono tenute a fornire a tutti i cittadini.

Difficoltà aggravate da una crisi del personale sanitario senza precedenti in Italia: tra il 2019 e il 2022 il Ssn ha perso oltre undicimila medici e oltre ventitremila infermieri; questi ultimi in fuga da turni massacranti, burnout, basse retribuzioni, prospettive di carriera limitate e dall’aumento degli episodi di violenza. In Italia ci sono solo 6,5 infermieri ogni mille abitanti, contro la media Ocse di 9,8, e questo dato è destinato a peggiorare visto che l’Italia è terzultima per numero di laureati in Scienze Infermieristiche, davanti solo a Lussemburgo e Colombia.

Solo questi dati (riportati nel settimo rapporto GIMBE) ci dicono che la salvaguardia della Sanità pubblica è una vera e propria emergenza che non può essere risolta attraverso “invenzioni di nuove figure parasanitarie”, ma con interventi economici mirati a rafforzare la Sanità da un punto di vista strutturale, a valorizzare i professionisti esistenti, a revisionare i modelli organizzativi, ad aumentare le retribuzioni ed incentivare i giovani a iscriversi ai corsi di laurea in infermieristica.

Secondo noi, la Sanità italiana ha bisogno di un numero maggiore di infermieri per rendere gestibili i carichi di lavoro, per ridurre stress e frustrazione, per far evolvere progressivamente i setting di cure e di assistenza delle strutture sanitarie; l’introduzione di una figura che, a fronte di un costo minore sul sistema, non potrà garantire le stesse competenze, andrà a detrimento della qualità dell’assistenza, di cui gli infermieri rappresentano innegabilmente le fondamenta, con le loro competenze e le loro elevate responsabilità. Tutte queste qualità, ampiamente dimostrate durante la pandemia, sono state già dimenticate dalla politica che, in un momento di emergenza come questo, sta per l’ennesima volta venendo meno ai suoi doveri di valorizzazione del ruolo degli infermieri, provando, pericolosamente, ad aggirare il problema.

In un momento in cui gli infermieri sono allo stremo, e siamo convinti che questa crisi coinvolgerà presto anche altri professionisti sanitari, come ostetriche e tecnici sanitari, non possiamo che bocciare i provvedimenti attuati dalle Regioni, ovvero la Revisione del profilo dell’Operatore Socio-Sanitario, e la nascita della nuova figura dell’Assistente Sanitario. Provvedimenti che potrebbero avere un certo vantaggio soltanto se la politica agirà su altri fronti, ovvero creando le premesse organizzative per un differente e più qualificante impiego delle professionalità sanitarie, in primis quelle degli infermieri e delle ostetriche, e quindi operando la necessaria revisione dei modelli organizzativi e delle dotazioni organiche, l’implemento delle competenze specialistiche e l’auspicabile aumento delle retribuzioni. Per rendere la professione infermieristica attrattiva per i giovani, dobbiamo innanzitutto farla tornare attrattiva per chi già esercita sul nostro territorio. Un esempio: che fine ha fatto la famosa indennità di confine prevista nella legge di bilancio per le zone di Como, Varese, Sondrio e Lecco, che subiscono la concorrenza economica della vicina Svizzera?

E infine un appello alle istituzioni: basta chiacchiere, fate presto che la professione infermieristica continua a perdere appeal, anche verso i giovani che devono scegliere il proprio futuro universitario, perché di questo passo l’Italia rischia di essere un Paese senza infermieri! Non ci sono altre soluzioni, bisogna investire sui nostri professionisti sanitari perché è attraverso le loro mani che si realizzano le risposte ai bisogni dei cittadini. Ed è anche a questi ultimi che ci rivolgiamo, affinché sappiano che, se il futuro dell’infermieristica italiana è questo, non ci sarà più nessuno ad assisterli adeguatamente.
NURSING UP
Responsabile Regionale Lombardia
Monica Trombetta
Responsabile Provinciale di Milano
Mauro D’Ambrosio

© RIPRODUZIONE RISERVATA

3 Commenti

  1. Perchè i frontalieri dovrebbero pagare di più visto che gia lo fanno con i ristorni per una sanitá da terzo mondo? Considerando che la maggio parte di visite e esami bisogna farli quasi sempre privatamente visto le tempistiche .Non è che risolvi il problema tassando una categoria di lavoratori che gia paga per poi favorirne un’altra.

    1. Perché chi guadagna di più deve pagare di più, detto come lo si direbbe al bar.

      In effetti è innegabile come la grandissima parte dei frontalieri guadagnino cifre davvero notevoli riguardo a un medesimo lavoratore impiegato in Italia.

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