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Il dottor Vannelli: “Ecco perché salute, ambiente e genere non si possono scindere nella prevenzione dei tumori”

In occasione del 22 aprile, che unisce la Giornata Nazionale della Salute della Donna e l’Earth Day, il dottor Alberto Vannelli, presidente di Erone nonché Direttore di Chirurgia e Tecniche Avanzate all’Ospedale Valduce di Como e professore a contratto alla Scuola di specializzazione in chirurgia generale Università degli Studi di Milano, ha scritto una riflessione integrata su salute, ambiente e genere, con un focus particolare sulla prevenzione del tumore del colon-retto nelle donne. Pubblichiamo il testo integrale di seguito.

Sebbene la notizia della scomparsa del Santo Padre stia occupando tutte le prime pagine, il 22 aprile è trascorso come sempre quasi senza memoria per la Giornata Nazionale della Salute della Donna e l’Earth Day. Entrambe fondamentali, vivono purtroppo una realtà di “saturazione retorica”: alla ricerca di una nuova narrazione, che superi la logica delle giornate commemorative isolate e costruisca un racconto integrato, con un simbolo unificante forte capace di unire ambiente, salute, genere e prevenzione

In ambito oncologico, più che mai, cresce l’evidenza che genere, ambiente e tumori rappresentino un triangolo critico per comprendere e affrontare la malattia nella sua complessità, e tra le malattie che meglio rappresentano questa interconnessione, c’è senza dubbio il tumore del colon-retto. Ogni anno in Italia circa 21.000 donne scoprono un tumore del colon-retto (seconda causa di morte oncologica femminile). Eppure, si tratta di un tumore in gran parte prevenibile: screening con sangue occulto fecale, e modifica degli stili di vita. Nonostante ciò, meno del 50% delle donne aderisce regolarmente agli screening. Un ritardo diagnostico che ha un costo altissimo: in termini di sopravvivenza, qualità di vita, e risorse sanitarie. Il tumore del colon non è solo una sfida medica: è anche un peso economico e sociale crescente.

In Italia, il costo diretto medio per paziente affetto da cancro del colon si aggira tra i 10.000 e i 25.000 euro/anno, a seconda dello stadio al momento della diagnosi. A questi si sommano i costi indiretti: assenze dal lavoro, invalidità, riabilitazione, supporto informale e psicologico. Investire nella prevenzione e nella precoce individuazione del cancro del colon, specie tra le donne, è dunque anche una scelta di sostenibilità economica e sociale, oltre che sanitaria.

Secondo l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), almeno il 40% dei tumori potrebbe essere prevenuto agendo sui fattori di rischio modificabili, tra cui rientrano in modo significativo le esposizioni ambientali, ma esiste un altro ambiente: il nostro intestino ospita oltre 100 trilioni di microrganismi: è il cosiddetto microbiota intestinale, un vero e proprio ambiente interno che regola infiammazione, immunità e perfino il rischio oncologico.

Numerosi studi hanno evidenziato che uno squilibrio del microbiota (disbiosi), legato a inquinamento, dieta povera di fibre, uso eccessivo di antibiotici, pesticidi, stress e sedentarietà, può aumentare la predisposizione allo sviluppo del cancro del colon. Il microbiota può diventare, in presenza di condizioni avverse, fonte di metaboliti proinfiammatori e genotossici, in grado di indurre danni al DNA delle cellule della mucosa intestinale. Nel corpo femminile, le sostanze tossiche si accumulano in modo diverso, possono attraversare la barriera placentare, interferire con cicli ormonali, o avere effetti intergenerazionali. Il corpo della donna è, di fatto, un sensore ambientale.

Nel 10 % dei casi le cause sono decise da un gene: tra le forme ereditarie di tumore del colon, la sindrome di Lynch è la più frequente. Colpisce 1 individuo su 300, spesso in età giovane e con predisposizione a tumori del colon, dell’endometrio e di altri distretti. Nelle donne portatrici di mutazioni nei geni MMR (quelli con il compito di rileggere ciò che è stato copiato nel DNA e correggere gli errori, prima che diventino dannosi), il rischio di sviluppare un tumore del colon-retto può superare il 50% entro i 70 anni; ma anche in questi casi, l’ambiente gioca un ruolo.

Le pazienti con mutazioni genetiche possono modulare il rischio attraverso la dieta, l’attività fisica, il monitoraggio e, in alcuni casi, con chirurgia profilattica. La diagnosi precoce della sindrome e la sorveglianza attiva permettono di trasformare una condanna in una strategia. Il colon è l’organo più ambientale che abbiamo: filtra, assimila, reagisce, si infiamma, si difende. Prendersene cura significa scegliere cibi puliti, respirare aria sana, muoversi all’aria aperta, vivere in equilibrio con i propri ritmi biologici. Le donne, spesso prime custodi della salute familiare, possono essere moltiplicatrici di prevenzione ambientale e oncologica. Agire oggi significa prevenire domani.

La salute ambientale è salute pubblica, e l’oncologia ha il dovere di estendere il proprio sguardo oltre l’organo malato, verso le cause profonde e i contesti di rischio. La Giornata della Salute della Donna ci ricorda che la prevenzione oncologica al femminile non è solo un dovere sanitario, ma un impegno culturale. Serve un investimento sistemico: potenziare gli screening, ridurre le disuguaglianze di accesso, promuovere la consapevolezza e valorizzare il ruolo della medicina di genere anche nella ricerca e nella formazione clinica. La salute delle donne è una priorità che parla al futuro di tutti.

Il messaggio del 22 aprile è questo: Proteggere il colon delle donne significa proteggere il loro futuro, il nostro ecosistema, e la dignità di una medicina che guarda lontano

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