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Punti di vista

Il no alla comunità islamica, gli occhi dei bimbi, l’invito in classe. Valle Intelvi, lettera di un maestro a Molteni

Riceviamo e pubblichiamo da Federico Pintus, maestro alla scuola primaria di San Fedele Intelvi, questa lunga e articolata lettera inviata al sottosegretario all’Interno Nicola Molteni. Il tema è il no espresso dall’esponente leghista alla possibilità che la comunità musulmana della zona possa aprire un centro culturale in un immobile individuato a Pellio Inferiore. Ma, come potrete constatare, il ragionamento si amplia fino ai più generali concetti di accoglienza, integrazione, dialogo tra culture.

Di seguito, il testo integrale di Federico Pintus.

Federico Pintus

Caro Sottosegretario Nicola Molteni,

le scrivo in merito alla sua recente dichiarazione di contrarietà nei confronti della richiesta di apertura di un centro culturale, avanzata dalla comunità islamica della Valle Intelvi.

Lei e io abbiamo in comune una vicinanza anagrafica che mi consente di esprimermi con una franchezza scevra da sottigliezze formali e linguistiche.

Non ci accomuna, per nostra sfortuna, la visione del Paese, della società e, più in generale, il concetto di politica. Una puntualizzazione necessaria alla mia narrazione che, contrariamente alle sue posizioni, emana da una riflessione matura, soprattutto rispetto alle posizioni sostenute dal fronte opposto. E lungi da me la pretesa di redimerla.

Chi sono io per rivolgermi a lei?

Non sono che un povero maestro elementare che, dopo un’esperienza di lungo corso in zone non lontane dal suo paese d’origine (dove l’aria che si respira contiene degli strani germi che mi portano ora a capire molti aspetti legati alle sue posizioni), da ormai due anni lavora nella scuola di uno di quei paesi della Valle Intelvi. Ogni giorno, per dovere o per amore, ho avuto e ho a che fare con la parte più fragile delle culture “altre”: quella dei bambini.

Lì mi sento chiamato da ragioni spesso preterintenzionali (perché iscritte nel mio DNA culturale) a costruire dei percorsi di consapevolezza di un vivere che si fa sempre più complesso. E per me la complessità è una sfida, non un pericolo, né tantomeno motivo di paura. Su quest’ultima categoria ci state giocando pesante, sapendo di ottenere larghi consensi, ahimè, persino tra gli insegnanti. Attenti, però, che anche la paura, prima o poi, passa.

Non sono che un cittadino ostinato, che non rinuncia al diritto di esprimere il proprio pensiero e le proprie idee, soprattutto quando le mie parole possono servire a difendere la causa di molti indifesi. Non sono un sognatore! Sarebbe bello, utile e giusto che anche la politica di palazzo, lontana dalla pericolosa sterilità della politique politicienne, sentisse qua e là questo moto intimo e democratico. Questo auspicio, forse, mi rende sì un sognatore!

Entrando nel merito della questione, mi sono chiesto che cosa porti Lei ad esprimere un diniego nei confronti di un gruppo di persone che non conosce, avendo chiaramente dichiarato che il confronto è avvenuto e sta avvenendo esclusivamente con gli amministratori locali e con i “cittadini preoccupati”. Ho sempre diffidato di chi, incapace di occuparsi dei problemi, convinca gli altri a pre-occuparsi.

Anch’io ho assunto la mia buona dose di preoccupazione che, però, ha tutt’altra origine. Sono preoccupato del vostro rifiuto al “dialogo per capire”: capire che il male che può scaturire da una cultura (sia essa religiosa o politica, non importa) non è il morbo che rende malata quella stessa cultura; capire che ogni porta chiusa alle istanze dell’inarrestabile cambiamento globale diventerà davvero “invasione” incompresa, incomprensibile.

Per quel poco che mi è dato dal mio lavoro, dai miei interessi socioculturali, dalle mie frequentazioni, cerco di far capire, a me stesso per primo, l’importanza dell’accoglienza. Lontano dal buonismo con cui si farcisce questo termine, parlo di disponibilità al confronto, conscio che tale operazione mette in moto meccanismi di non facile gestione.

Mi piacerebbe tanto addentrarmi con il discorso nei sentieri di questa foresta culturale, ma so che considerazioni ben più alte delle mie, provenienti da personalità di indubbio calibro, non mancano alla sua corrispondenza e nei suoi incontri. Per questo mi limito a formulare l’invito di venire a trovarci nella scuola dove insegno.

Lì le mie parole si limiteranno alle formalità, per dare spazio agli occhi dei bambini, di tutti i bambini, a prescindere dalle differenze di status. Sarà lei, caro Sottosegretario, se vorrà avere il coraggio dell’uomo che guarda l’uomo, a capire che dietro gli sguardi di ciascuno, questa volta con le peculiarità che li contraddistinguono, c’è una storia che coinvolge il presente e chiede al futuro uno scopo. Senza la garanzia di nutrire un sogno attraente, ci troveremo costretti a spingerli verso un nulla che anche la paura ha contribuito a generare.

Venga da noi e incontri anche coloro che chiedono alle istituzioni di aggregarsi in uno spazio regolare. Uno spazio che aprirebbe panorami di confronto anche con e per l’esterno. Il rifiuto, di contro, porterebbe alla formazione di “carbonerie” incontrollabili.

Se li vuol “forzare” a sottoscrivere intese sull’art. 8 della Costituzione, lo faccia. Poi chieda anche a me un giuramento diuturno sull’art. 1 e sull’art.33, così che si abbia la certezza che il mio operato sia conforme alla legge fondamentale dello Stato: quel medesimo documento che qualche suo circostante pare disattendere con una certa frequenza.

Il dialogo non è qualcosa che c’è o non c’è: il dialogo lo si costruisce, con coraggio.

Io ci spero!

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