Continuano ad arrivare contributi di esperti, appassionati e tifosi sul nuovo stadio del Como (la mail è redazionecomozero@gmail.com).
Oggi ospitiamo una lunga e articolata riflessione del commercialista Gianfranco Minutolo. Il testo di seguito.
Il dibattito sul futuro dello Stadio Sinigaglia di Como rappresenta molto più di una semplice questione infrastrutturale: è una riflessione sul rapporto tra tradizione e innovazione, tra apertura sociale e funzionalità moderna.
Da un lato, la concezione novecentesca dello stadio come spazio aperto, integrato nel paesaggio lacustre, simbolo di una visione dello sport come esperienza collettiva e condivisa. Dall’altro, le esigenze contemporanee che spingono verso strutture più funzionali, tecnicamente avanzate e commercialmente sostenibili.
Il vecchio Sinigaglia, con la sua apertura verso il lago, ha rappresentato per decenni non solo un luogo sportivo ma un vero punto di riferimento identitario per la comunità comasca.
È lo stadio della mia infanzia.
Tuttavia, questa visione romantica si scontra oggi con la realtà di un impianto obsoleto, inadeguato agli standard moderni e in progressivo deterioramento.
Ci troviamo di fronte a un bivio cruciale: o si accetta il rinnovamento proposto dalla proprietà attuale, o si rischia concretamente di vedere lo stadio abbandonato a un inesorabile declino. La proprietà mi sembra abbia chiarito che, in assenza di un accordo per realizzare un nuovo impianto, cercherà soluzioni alternative altrove perché l’altro simbolo di Como (la squadra di calcio) ha esigenze competitive da rispettare (di accoglienza, di spazi, di sostenibilità economiche).
Non si tratta quindi di scegliere tra conservazione e innovazione, ma tra un futuro possibile e l’abbandono.
Vale la pena anche riflettere su un precedente storico significativo: quando Giuseppe Terragni propose il suo capolavoro razionalista nel 1932, anche allora immagino si saranno levate voci critiche e resistenze.
Mi farebbe piacere leggere i commenti di allora. Chiedo che i giornalisti si attivino e analizzassero le reazioni dell’epoca alla proposta di un’opera che oggi (non allora) tutti considerano patrimonio architettonico inestimabile. La storia dell’urbanistica è piena di innovazioni inizialmente contrastate e poi divenute simboli identitari.
Non confronto Palazzo Terragni con lo Stadio nuovo perché un Palazzo o un Monumento non hanno le stesse esigenze di un impianto sportivo.
In un contesto dove, negli anni, nessun altro soggetto si è fatto avanti per investire sul Sinigaglia, appare miope e rischioso rifiutare la proposta di chi è disposto a impegnare risorse significative. Chi investe ha legittimamente voce in capitolo sulle caratteristiche del progetto, fermi restando i vincoli urbanistici e paesaggistici.
La cultura del “no” a priori non porta a preservare il passato, ma rischia di condannare un simbolo cittadino all’abbandono.
Lo stadio non è un monumento intoccabile, ma una infrastruttura al servizio della comunità sportiva e cittadina. Se questa infrastruttura non è più in grado di svolgere la sua funzione, va ripensata anche nel rispetto delle norme sanitarie, di sicurezza e di accoglienza.
Il vero rispetto per la storia del “Sinigaglia” non sta nel condannarlo all’obsolescenza, ma nel permettergli di continuare a vivere, evolvendosi per rispondere alle esigenze contemporanee, pur mantenendo un dialogo con il contesto unico in cui si inserisce.
La vera sfida per Como è trasformare questo momento di cambiamento in un’opportunità: dimostrare che è possibile innovare rispettando l’identità dei luoghi, che il pragmatismo economico può convivere con la sensibilità paesaggistica, che la funzionalità moderna non esclude necessariamente l’apertura sociale che caratterizzava l’impianto originario.
Come in ogni affare c’è la domanda e l’offerta. Qualcuno offre di più o meglio?
Se perdiamo il treno, tornerà decadente. È questo quello che vogliamo L’opportunità è qui e ora.