Da Como a Vicofaro, per portare solidarietà a don Massimo Biancalani dopo lo sgombero della parrocchia che, alla periferia di Pistoia, per anni ha accolto centinaia di rifugiati senza fissa dimora. L’operazione di polizia – concordata con la Prefettura, la Diocesi e il governo – è partita il 25 giugno scorso sulla base dell’ordinanza del sindaco di Pistoia Alessandro Tomasi, di Fratelli d’Italia. Inoltre, sulla scia degli eventi, la diocesi ha poi revocato a don Massimo Biancalani la legale rappresentanza della parrocchia.
Ora nella canonica non c’è più nessuno (quasi tutti i migranti sono stati presi in carico dalla Diocesi) ma per testimoniare la propria vicinanza a tutti coloro che hanno gestito il centro e dato assistenza, don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio a Como, è voluto andare di persona.
Di seguito, pubblichiamo il resoconto post-viaggio ricevuto in redazione.
Viaggio a Vicofaro – Un abbraccio a don Massimo Biancalani
Partiamo alle cinque e mezza da Rebbio, con il primo sole che colora il cielo. Siamo in cinque, un piccolo gruppo unito da un grande desiderio: portare la nostra solidarietà, il nostro abbraccio, a don Massimo Biancalani, che ha visto chiudere il centro di accoglienza per migranti da lui creato nei locali della casa parrocchiale di Vicofaro, a Pistoia.
Arriviamo in tarda mattinata. Il sole è forte anche qui, come a voler mettere in risalto ogni dettaglio. La piazza della piccola chiesa è occupata da un parcheggio e circondata da tranquille casette di provincia. L’atmosfera sembra quieta, quasi sonnolenta, ma sotto la superficie si avverte qualcosa di sospeso. La chiesa è moderna; sul lato del portico, all’ingresso, una bacheca espone due manifesti A3.
Uno proclama che a Vicofaro “no one is illegal”; l’altro, con l’immagine di un barcone pieno di migranti, invita alle donazioni per sostenere il centro. Due segni semplici ma eloquenti di una visione del mondo che oggi, più che mai, sembra sotto attacco.
Ci accoglie don Biancalani, con un sorriso stanco e sincero. Dopo i saluti, ci accompagna a vedere i segni evidenti del recente intervento delle forze dell’ordine. All’interno della chiesa, quasi a ridosso dell’altare, le due porte che conducono alla vecchia cappella – e da lì ai locali della casa parrocchiale – sono sbarrate da solidi pannelli di legno inchiodati. All’esterno, tra due decorazioni murali con citazioni di don Milani e don Angelo Casali, la vecchia porta settecentesca è chiusa con due grossi lucchetti: un’immagine che colpisce al cuore, simbolo di un’accoglienza soffocata, interrotta con forza.
Anche le porte d’accesso alla casa parrocchiale sono sprangate. Ma, a lato della piazza, a testimonianza del passato recente, resta ancora in piedi il tendone con le bandiere della pace e di Vicofaro, che continuano a sventolare. Era uno spazio comune, semplice ma essenziale, dove le persone accolte trovavano riparo dal sole e dalla pioggia; dove la dignità passava anche attraverso una tazza di tè condivisa, una parola amica, un po’ di silenzio rispettoso.
La stanchezza di don Massimo è palpabile, ma ancora più forti sono la sua amarezza e la sua delusione. Ci parla con voce calma, ma carica di emozione. Si sente spaesato, quasi stordito da quanto accaduto. Ci racconta dei ragazzi che ha accolto negli anni – giovani senza altra possibilità, esclusi da tutto – e di come, insieme a un piccolo gruppo di volontari, abbia cercato di dare loro una possibilità concreta: imparare la lingua, trovare un lavoro, ricostruirsi una vita. Alcuni ce l’hanno fatta, e con loro è rimasto in contatto. Altri lottano ancora.
Ci confida le difficoltà enormi di gestire un centro di bassa soglia (struttura che offre servizi di base, facilmente accessibili e senza particolari barriere all’ingresso, per persone migranti che si trovano in situazioni di vulnerabilità o marginalità), con poche risorse, servizi minimi e tante persone, tanti bisogni. Eppure, Vicofaro era un punto di riferimento insostituibile per chi non aveva niente: un tetto, un pasto caldo, un luogo dove essere chiamati per nome. Era un rifugio, certo imperfetto, ma profondamente umano.
La chiusura del centro ha visto la maggior parte degli ospiti ricollocati, su base volontaria, in altri centri Caritas. Una scelta che ha portato anche aspetti positivi. I ragazzi più fragili – quelli senza documenti, quelli con maggiori difficoltà – sono rimasti. Per allontanarli, le forze dell’ordine hanno fatto irruzione in piena regola, in tenuta antisommossa, come se ci si trovasse di fronte a pericolosi latitanti, e non a un prete e cinque ragazzi in cerca d’aiuto. L’immagine è surreale, eppure reale. E per don Massimo è stata un’umiliazione profonda, un trauma difficile da elaborare.
Il silenzio delle istituzioni, l’assenza di un dialogo autentico tra chi decide e chi vive le conseguenze delle decisioni, amplifica la fatica. Quando non si ascolta, quando non si prova a capire, si creano fratture che non sono solo burocratiche, ma profondamente umane. Senza confronto si genera disillusione: chi dà tutto se stesso, ogni giorno, si sente abbandonato.
E si chiede: vale la pena?
Ma la risposta, per chi crede nella giustizia e nella dignità umana, resta sempre sì. Anche se fa male.
Salutandoci, don Biancalani ci lascia con l’immagine che da anni lo guida: quella di Papa Francesco che descrive le chiese come “ospedali da campo”, luoghi dove si offre accoglienza, conforto e speranza. Ed è proprio questa visione che continua ad animare il suo impegno, nonostante tutto.
Da parte nostra, l’invito a venire a Como e due doni biblici: l’olio della consolazione e il vino della speranza.
Vicofaro oggi è ferita, ma non spenta. E chi passa da lì, come noi, torna a casa con una responsabilità in più: non lasciare solo chi resiste.
- Marta Pezzati (Como Accoglie)
- don Giusto della Valle (Pastorale Migrantes e Parrocchia di Rebbio)
- Mauro Oricchio (Parrocchia di Rebbio)