Sul tema dello stadio di Como riceviamo e volentieri pubblichiamo in forma integrale la lettera di una nostra lettrice, Anna Raschillà, cittadina di Como, da 25 anni guida turistica della provincia che – parole sue – segue “con trepidazione le notizie e le discussioni che compaiono ogni giorno sui quotidiani, relative alla ristrutturazione del Sinigaglia. La forte inquietudine per le sorti di quel luogo mi ha suscitato delle riflessioni, che ho raccolto in una lettera/articolo, che troverete in allegato”.
Di seguito, il testo (per lettere, interventi, repliche, foto e video scrivere a redazionecomozero@gmail.com).
Perché non costruire il nuovo stadio nella piana di Lazzago?
Mi accingo a scrivere queste righe, perché, da comasca, non riesco ad assistere impotente alle notizie sul progetto di ampliamento dello Stadio Sinigaglia, nella zona dei giardini a lago di Como e delle sue superbe passeggiate. Qualche cosa devo fare.
A mio avviso, nei dintorni di Como ci sono altri spazi più adatti all’accoglienza di uno stadio, del relativo mega posteggio e delle attività commerciali connesse, molto più adatti per estensione, vicinanza alle strade di accesso, lontananza dal centro storico e dal passeggio, sempre più affollato, che si riversa in centro e lungo il lago. Perché ostinarsi a volerlo lasciare a tutti i costi in un luogo strappato all’acqua e progettato per essere dedicato ad un rapporto privilegiato della città col suo lago? Un conto è accettare che la città si trasformi, per adeguarsi alle nuove esigenze dei tempi, ben diverso e del tutto insensato, secondo me, è accettare che l’identità della città venga sfigurata, che non vi si riconosca più il genius loci, il vero spirito del luogo.
E come potrebbe essere ancora intitolato all’otto volte campione europeo di canottaggio Giuseppe Sinigaglia, caduto da volontario durante la prima guerra mondiale?
Sono nata a Como 77 anni fa da genitori provenienti dal sud. Mio padre, persona curiosa, attenta e colta, ha sempre fatto apprezzare a noi 4 sorelle quanto di interessante e di incomparabile tutto il territorio poteva offrire in città, lungo il lago, in collina, in montagna. E noi siamo cresciute impregnate di queste bellezze, anche se gli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso le hanno intaccate non poco, basti vedere la Piazza Cavour oggi.
Anche quegli anni però ci hanno lasciato tracce esemplari: è del 1960 l’inaugurazione della passeggiata a lago Lino Gelpi lungo il Borgovico, fiore all’occhiello della città e frutto di una coraggiosa operazione di esproprio di terreni privati a ricchi proprietari. Con l’unico intento di rendere più bella Como, la Como di tutti.
Quando da piccole la domenica andavamo con nostro padre in bici o a pattinare sulla pista dei giardini a lago, con il bel fontanone di roccia che zampillava e il vagone del treno in bellavista, ci coglieva l’ebbrezza di essere immerse in un ambiente armonioso e curato, in cui sentirsi felici. L’armonia e la bellezza ci hanno forgiate.
Crescendo abbiamo però assistito all’alternanza di inevitabili momenti di grandi disastri e di ottime decisioni da parte dell’amministrazione comunale, mirate a salvaguardare l’unicità di Como e del suo lago.
Parlo di unicità perché Como è nata in funzione del suo lago: da 2000 anni se lo abbraccia con i due borghi soleggiati intorno a Villa Olmo e a Villa Geno. Se lo coccola, lo ammira e noi abbiamo il dovere morale di conservare questa funzione e questa bellezza. Così abbiamo ricevuto il territorio dagli avi, così dobbiamo consegnarlo alle future generazioni.
Nell’enorme bagaglio culturale che ho approcciato per diventare guida turistica dopo una vita da insegnante, ho appreso anche che dal punto di vista architettonico Como rappresenta un esempio interessante. Ogni periodo storico infatti vi ha lasciato tracce più o meno numerose: il castrum e le mura medievali, la città romana sotterranea, il Medioevo, il Rinascimento, il Barocco, il Neoclassico, la Belle époque, il Movimento moderno col Razionalismo. Inoltre le colline che la circondano, come sentinelle, hanno impedito la crescita incontrollata e selvaggia, soprattutto negli anni del fervore costruttivo.
Como, fondata per diventare un importante avamposto militare a sud delle Alpi, in previsione di una grande città, Mediolanum, che sarebbe diventata in poco più di 250 anni la capitale dell’Impero romano d’Occidente, è a pochi chilometri da essa, è sempre stata proiettata verso il centro Europa grazie ai valichi alpini, è a un passo dalla Svizzera, è da tempo immemorabile luogo strategico per passaggi, commerci, pellegrinaggi, stimoli internazionali. E cerniera tra la cultura mediterranea e quella del centro Europa. È anche questa la ragione per la quale nel corso dei secoli Como ha generato figure geniali, che hanno lasciato una traccia indelebile a livello internazionale.
Parlo di personaggi come Plinio il Vecchio e Plinio il Giovane nel I secolo dopo Cristo; dei Maestri comacini, infaticabili e superbi artisti viaggiatori, che hanno disseminato l’Europa di capolavori per 1000 anni; dell’umanista Paolo Giovio, inventore del primo Museo al mondo. E ancora di Alessandro Volta, scopritore del gas ed inventore della pila, che Einstein considerava “il padre della modernità”; di Antonio Sant’Elia, genio futurista visionario, che agli inizi del ‘900 ha immaginato in centinaia di disegni la città futura, creando uno spartiacque con la progettazione architettonica tradizionale; e dei nostri pittori astrattisti e degli architetti razionalisti, con Giuseppe Terragni come capofila, fondatori del Movimento moderno.
Questi ultimi, tra le due guerre in una zona a lago che era ancora melmosa, in un momento di grande attenzione e rispetto verso la storia del territorio ma anche di apertura verso il futuro, hanno progettato un quartiere con tre livelli di altezza, estremamente armonioso ancora oggi dopo un secolo. Un primo livello per gli edifici dedicati agli sport sull’acqua; un secondo per lo stadio del 1927 con, oltre al campo di calcio, due piste concentriche, la prima per le gare di atletica e la seconda per le gare ciclistiche e motociclistiche, dotata di curve paraboliche sopraelevate. Allora, vista dall’alto, la costruzione aveva la forma classica di un circo massimo, con un evidente richiamo alle origini romane di Como. E sulla linea dello stadio, era previsto anche l’hangar dell’Aeroclub, altra grande unicità di Como in Europa. Infine un terzo livello più arretrato e più elevato, quello del Novocomum, dedicato all’abitazione intensiva. I tre livelli dovevano godere del rapporto col lago, fondamentale per quella zona che su di esso si affaccia.
A completarne la bellezza e l’importanza, in mezzo a prati e ad alberi d’alto fusto, dove giocavano i bambini e i visitatori godevano dei luoghi, hanno trovato posto dei monumenti dedicati ai grandi personaggi e agli eroi del passato, come il Tempio Voltiano per Alessandro Volta e il Monumento ai Caduti per i nostri morti in guerra. La memoria e lo svago uniti, rigorosamente tutti in rapporto col lago.
In questo stesso luogo, nel 1983 il Presidente della Repubblica Sandro Pertini inaugurava il Monumento alla Resistenza Europea, per aggiungere alla memoria storica della città anche quegli anni tragici del secondo conflitto mondiale, e nel 2002 vi prendeva posto il Monumento a Mafalda di Savoia, simbolo della deportazione nei lager del nazismo di Hitler.
Oggi quella zona a lago riassume le aspirazioni e la storia del XX secolo.
In quanto bene di interesse culturale, nel 1988 sullo Stadio di Como e sulla zona circostante, compreso l’hangar, fu predisposto il vincolo monumentale dall’Architetto Alberto Artioli, allora funzionario alla Soprintendenza di Milano e Ispettore per la zona di Como, indiscusso caposcuola della tutela sul Moderno. Vincolo che scatenò le ire degli amministratori comunali del tempo.
Per questioni di adeguamento impiantistico e di sicurezza, poi, la legge del 2020 concedeva deroghe agli impianti sportivi storici, e in particolare l’art. 55 bis limitava la portata del vincolo di tutela, che non riguardava più il bene nel suo complesso, ma solamente alcuni suoi elementi ritenuti particolarmente qualificanti e rappresentativi.
Successivamente, il D. lgs n. 38 del 2021 ha ridefinito il vincolo sul piano dei suoi contenuti e delle sue conseguenze a livello giuridico. Oggi degli stadi vincolati, come il nostro Stadio Sinigaglia (“il più bello del mondo” lo definiva Gianni Brera), devono essere conservate solo le porzioni originali.
Prima di cedere le armi e permettere che sia sfigurata in modo definitivo quella parte privilegiata della città che si affaccia “sul lago più bello del mondo” (così lo consacrò nel 2014 una classifica dell’Huffington Post), ci sono dunque ulteriori spazi di discussione per quanto attiene l’insieme di quell’area urbana, significativamente definita dalla presenza del Monumento ai caduti, del lungolago, del Novocomum, riconosciuto come primo edificio razionalista d’Italia.
Se da quella sorta di Pantheon che è il Tempio Voltiano indirizziamo lo sguardo verso la città, restiamo piacevolmente sorpresi nel vedere che fu costruito in asse col Castello Baradello, perché là, sulla Spina verde, sono le origini della città. Nell’intento di Giuseppe Terragni, la severità degli alberi che, lungo Viale Vittorio Veneto inquadrano il Monumento ai caduti, deve preparare lo spirito di chi vi si accosta all’incontro con un luogo sacro. Paesaggio, prospettive, punti di vista, tutto lì intorno concorre a valorizzare ed esaltare i monumenti, a creare legami con la storia del luogo, a inserire il fruitore nell’armonia.
L’attuale megaprogetto di ristrutturazione dello stadio, di cui leggiamo e sentiamo parlare con insistenza, ma di cui non sono stati pubblicati disegni o modelli, che cosa conserva di questo ambizioso progetto di un secolo fa, che ha richiesto profonda preparazione, studio, discussioni, anche diatribe sulla stampa locale e nazionale, insomma impegno e fatica? Quali sono le motivazioni storiche e culturali alla base del nuovo stadio di 22,5 metri di altezza con un hotel 5 stelle e bosco verticale sul lato est? In che modo rifletterà il genius loci? Saranno ridimensionati anche i giardini pubblici, nell’ex area del minigolf, per creare una zona di rispetto proprio per l’hotel? Noi guide avremo ancora lo spazio dove far sostare i numerosi turisti interessati, gli architetti, gli studenti di architettura, i curiosi che arrivano a Como da tutto il mondo, anche per conoscere i monumenti di quel periodo?
Nessuno affronta l’argomento in modo chiaro ed è questo che inquieta ancora di più. Come quando dall’oggi al domani i comaschi si sono trovati sul lungolago un muro di 1,20 metri di altezza, che oscurava il lago.
Personalmente non vedo alcuna motivazione culturale di ampio respiro nel progetto di questo ecomostro, ma sono disponibile ad ascoltare le ragioni di chi l’ha proposto e di chi lo sostiene.
Ma se ulteriori spazi di discussione esistono, vogliamo allora parlarne? delle distanze? del decoro? dei cannocchiali visivi, delle volumetrie? Di tutto quanto andrebbe a sfregiare quell’armonia così importante per l’occhio e per lo spirito?
Sì, qualcosa dovevo fare. Perché, da cittadina di Como, da insegnante e da guida turistica, sono convinta che le risorse culturali, che sono state alla base dei grandi progetti del passato, sono valori che si riversano sull’economia del territorio in modo permanente e non solo quando il Como è in serie A.
Anna Raschillà