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Punti di vista

“Nuovo stadio, da hotel e bar Como cosa ci guadagna? Quel prato diventi un parco aperto ai cittadini”

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un’ampia riflessione sul tema caldissimo del nuovo stadio Sinigaglia. Il contributo è del collega giornalista Marco Corengia (per contributi, lettere, segnalazioni scrivere a redazionecomozero@gmail.com).

Torna, torna, vestito in abiti sportivi, pantaloncini e calzettoni, il marchio di fabbrica che distingue il comasco nel mondo. E l’è sempar quel, piutost che nient, mej piutost! Questo polarizzarsi tra favorevoli e contrari attorno al progetto del nuovo Sinigaglia anima la città, la divide, ma sembra mancare di un ragionamento “a monte”, dal quale deriverebbe a cascata tutto il resto. Si tratta della riflessione su cosa debba essere uno spazio pubblico a disposizione della cittadinanza; aspirazione che, almeno a parole, sembrerebbe tra gli obiettivi della stessa società.

Sul fatto che lo stadio attuale assomigli più a un sovrapporsi disordinato di muraglioni rabberciati e tubi innocenti invece che un monumento da tutelare, credo ci si possa trovare d’accordo tutti o quasi; così come si possa condividere il sospetto che chi abita il quartiere e aneli a una non-soluzione lo faccia non perché nostalgico dell’architettura razionalista che fu, ma per mantenere intatti quei comodi interessi particolari fatti di quiete notturna e posteggio sotto casa. Ma quello che sta uscendo dai rendering non è uno spazio per la cittadinanza, è uno scambio al ribasso camuffato da sorridente filantropia.

Como Stadio SInigaglia e quartiere razionalista, giardini a lago, tempio voltiano, monumento ai caduti

 

 

Negozi, bar, ristoranti, un hotel, una farmacia e un centro benessere, il tutto addolcito da quella spolverata di culture-washing rappresentata da una zona per esposizioni e mostre. Ma la cittadinanza cosa ci guadagna davvero? La possibilità di spendere i propri soldi in hotel e negozi? Ed è qui, di fronte all’unica domanda che bisognerebbe farsi davvero, che la comaschitudine del piutost che nient, mej piutost, torna a farsi sentire, più ex-Ticosa che mai.

Dicono che questa sia un’occasione che passa adesso e non ripasserà mai più. Che va bene così, che da soli non saremmo capaci di fare quello che ci promettono gli amici indonesiani. Dicono, e probabilmente hanno pure ragione. Però la domanda rimane. Davvero hotel e negozi sono uno spazio per la cittadinanza?

Davvero non si può immaginare un accordo che renda giustizia a ambo le parti; gli Hartono che vogliono fare business e la città che potrebbe aspirare a uno spazio – o almeno una parte – contemporaneo, libero, destrutturato e a disposizione di tutti?

Parole, soltanto parole, dicono. Poi pensi all’area di Porta Nuova a Milano, a quella dell’acquario o i giardini di Nervi a Genova o anche solo il parco di Villa Erba a Cernobbio quando viene aperto al pubblico, fino al sogno di Venice Beach a Los Angeles, Central Park a New York, o le peers di San Francisco. A Como manca un parco come lo vediamo ovunque in giro per il mondo; manca un’area destrutturata dove giocare, passeggiare, rilassarsi, portare i bambini, ascoltare un’orchestrina suonare. E quella zona del lungo lago sarebbe perfetta.

Oggi nessun urbanista al mondo progetterebbe uno stadio dov’è adesso, molto probabilmente ci metterebbe un parco. Ma visto che noi lo stadio l’abbiamo proprio lì, perché non pensare a un impianto che, appena finito il campionato, possa trasformarsi in qualcosa di diverso? Una struttura a disposizione di cittadini e turisti, aperta su viale Puecher con libero accesso al prato, e tutto il contorno di negozi e attività collaterali a fare da cornice pur senza rappresentare l’unica alternativa possibile.

E’ vero, un prato come quello del Sinigaglia ha bisogno di cura e manutenzione; ma si può trovare un equilibrio tra le esigenze del manto erboso e un suo utilizzo alternativo. Magari solo alcuni giorni alla settimana e sotto la supervisione di personale addetto al controllo.

Quello che conta è mandare il messaggio che quello spazio – e ricordiamocelo bene, non si tratterebbe di uno stadio di proprietà, ma di un immobile che resterebbe in capo al pubblico – venga percepito come patrimonio della collettività. E uno spazio “per tutti” non può consistere unicamente in un’area commerciale.

Facciamo poi i conti con le nostre ambizioni e decidiamo una volta per sempre che città vogliamo essere, ma ancor prima che città crediamo di difendere.

In giro per il mondo è pieno di parchi dove per terra non si trova nemmeno un mozzicone. Prendere come esempio il degrado perenne che caratterizza i giardini del Tempio Voltiano e del monumento ai caduti è un parallelismo che non possiamo accettare. Non lasciamo che il coraggio ceda sempre il passo alla paura e alla rassegnazione. Prendersi cura di uno spazio pubblico è possibile, e il progetto del nuovo stadio mette a disposizione della città possibilità infinite.

Basta solo che si pensi al Sinigaglia come a uno spazio davvero pubblico, dove la città è chiamata alla sua parte di responsabilità. La partita sta tutta qui: bisogna impegnarsi per raggiungere un equilibrio che faccia contenti tutti, dove la società possa capitalizzare l’investimento e la cittadinanza veda realizzato quello che manca. Una partita da giocarsi a testa alta e con la schiena dritta, e non con quel piglio da nobile decaduto costretto a svendere i gioielli di famiglia più preziosi pur di mantenere in vita il simulacro del proprio passato e insieme resistere al peso degli anni.

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