I pullman che si fermano direttamente sul lungolago a far scendere i turisti belli comodi direttamente all’imbarco dei battelli, la fila di Ncc in sosta davanti all’arena, le modelle in bikini appoggiate al portale della Cattedrale, la coppia straniera che carica trolley e borsoni sull’auto ferma in mezzo a piazza Duomo, l’amaca tra gli alberi di piazza Grimoldi o la tenda sulla passeggiata di Villa Olmo fino ai tavolini e ombrelloni sul parterre della dimora settecentesca, origine di una sfilza di divieti che hanno inevitabilmente colpito anche chi, incolpevolmente, su quei prati ci andava solo a leggere un libro o a far trotterellare i bimbi.
E poi, ormai talmente frequenti da passare quasi inosservate, le auto che si infilano in piena Ztl e sfilano imperturbabili tra le vie dello shopping e le piazze perché gliel’ha detto il navigatore, senza domandarsi se sia normale passare sotto telecamere e cartelli di divieto, tra persone a piedi e monumenti. E ringraziamo il cielo che le fontane di piazza Grimoldi sono state trasformate in fioriere, se no qualcuno a fare un bel pediluvio l’avremmo trovato sicuramente.
Il ritratto delle prime settimane di questa estate comasca pare confermare quello che già si era visto, forse meno sfacciatamente, l’anno scorso: molti turisti non sanno neanche dove si trovano e cosa stanno guardando. E a molti di noi va bene così. E la cartina tornasole del valore che diamo alla nostra città, che poi è esattamente quello che viene percepito dal turista indeciso tra essere un visitatore rispettoso o un bovino al pascolo, sta nel ciclico tornare in auge di quello che sembra essere il viatico a ogni male: il ticket.
Che, in pratica, se mai si riuscisse ad applicarlo a una città che non è esattamente controllabile come Venezia (solo ai pullman? Solo a chi esce dall’autostrada? A chi arriva in treno? Mettendo cecchini sui tetti di via Vittorio Emanuele?), altro non è che farsi pagare qualche euro, assolutamente marginale per il bilancio comunale, per continuare a essere masticati da orde di persone.
La realtà, invece, è che non ci rendiamo conto che per molti (non per tutti, fortunatamente, ma decisamente non pochi), altro non siamo che un enorme pontile verso i paesi del lago, la stazione ferroviaria comoda per andare a prendere l’aliscafo, l’immenso b&b dove si trova sempre posto, anche quando Varenna è sold out da mesi, l’infinito tavolino dove farsi spennare 25 euro per le lasagne al Philadelphia. Ma che Como sia una città bellissima e fragile, culla di una cultura che va dalle terme romane al Razionalismo, a occhio non è che lo capiscano in tanti.
E non è colpa loro se noi, per primi, davanti a una fila di Ncc in attesa a due passi dal Duomo diciamo “non sono questi i problemi della città, e poi i turisti portano soldi”. O davanti al campeggio improvvisato raccontiamo orgogliosi di quando anche noi, giovani spiantati, negli anni Settanta avevamo messo la canadese sulle Ramblas.
Perché il problema di Como, alla fine, non sono i turisti ma siamo noi comaschi, proni al turismo all you can eat, come se dire “fermi tutti, noi siamo molto di più, quindi smettetela di usarci a vostro piacimento” rischiasse di farci perdere appeal, numeri e, soprattutto, guadagni senza renderci conto che stiamo svendendo la città. Perché se neanche i cittadini hanno un moto di amor proprio e liquidano con una risatina amache e costumi da bagno davanti al Duomo, cosa dovrebbe fare un turista?
Eppure a due passi da noi, faro nella notte in mezzo a un crescente turismo bovino, già dall’anno scorso brilla Villa del Balbianello che, davanti alle orde brucanti, ha detto “stop un attimo, siamo troppo fragili e belli per svenderci così” e ha ridotto del 30% il numero di accessi (e i guadagni, di conseguenza) per un semplicissimo motivo, perché il turismo alla liberi tutti “danneggia anche la sua immagine, il suo valore immateriale, perché snatura il luogo, banalizza la sua storia e ne attenua il fascino. A risentirne alla fine è la qualità della visita, che rischia di impoverirsi e di perdere il significato di esperienza culturale, suggestiva e formativa”. E noi non riusciamo davvero neanche ad arrabbiarci per una fila di Ncc in sosta in pieno centro o per i pullman che scaricano turisti sul lungolago?
5 Commenti
ci vorrebbe un SINDACO!
Inutile lamentarsi siamo entrati nell’era della TRANSUMANZA UMANA.
Ci vorrebbe un sindaco di polso, capace di intercettare i bisogni dei cittadini; non serve uno sceriffo astioso autocompiaciuto.
Articolo impeccabile, che centra il cuore della questione-turismo, ormai incontrollabile.
la famiglia con il tavolo ed ombrellone meglio delle balene esposte qualche anno fa dall’artista immanicato……..